Meritocrazia e responsabilità nell’educazione dei figli

Le mie figliole, Sharon, Nancy e Watiuska erano diventate grandi senza che nemmeno me ne fossi accorto. Ognuna aveva il suo carattere, ma per poterle gestire tutte in maniera giusta ed efficace mi occorreva un metodo.

La mia mentalità razionale mi spinse a gestire la mia paternità con le stesse logiche che usavo nel business, e così decisi di tentare di applicarle anche in famiglia.

Naturalmente non era la stessa cosa: le mie attività non riuscivano certo a intaccare la mia razionalità come gli occhi dolci di Sharon, i modi ostinati di Nancy o la tenerezza di Watiuska. Però ci riuscii, con l’appoggio di Carla. Anche lei, come me, voleva che per tutte e tre le ragazze valessero le stesse regole. E avendo entrambi poco tempo a disposizione da passare in famiglia, quel poco tempo non volevamo certo sprecarlo in discussioni o litigi, ma viverlo in un clima di armonia e serenità.

Decidemmo quindi di adottare una serie di regole meritocratiche ben definite, quasi matematiche. In questo modo non eravamo noi a rispondere o No alle richieste delle nostre figlie: era il loro impegno, dimostrato attraverso i numeri, a stabilire se, cosa e quanto meritassero. E poi non mi erano mai piaciuti i genitori che rispondevano No a priori: se non si motivano le proprie scelte che insegnamenti si possono impartire ai propri figli?

Sperimentammo questo metodo innanzitutto con la dibattuta questione del rientro serale.

Quando la meritocrazia porta al successo: il caso Mercatino di Garbatella.

Era il 1999 e il mio Mercatino della Garbatella sembrava finalmente lanciato nella giusta direzione. Mario, il nostro direttore stava purtroppo attraversando un momento personale difficile. Cercammo di aiutarlo e sostenerlo ma il carico di stress era eccessivo per lui, dopo qualche giorno, all’improvviso, prese la sua roba e ci abbandonò, lasciando il suo posto vacante.

All’epoca il Mercatino aveva solo 5 dipendenti e non avevamo nemmeno un vicedirettore: il ruolo di Mario andava coperto al più presto. Osservando con più attenzione del solito i dipendenti del Mercatino, mi accorsi che una delle cassiere, la 22enne Francesca, riusciva ad emergere rispetto ai suoi colleghi nonostante fosse la più giovane di tutti.

Oltre a essere precisa, appassionata e propositiva, Francesca aveva dalla sua un grande vantaggio: aveva studiato storia dell’arte all’Università, e aveva una smodata passione per l’antiquariato e il design in genere. Questo le permetteva di fare valutazioni particolarmente azzeccate: se le davi in mano un semplice bicchiere di vetro, capiva subito se si trattava di un pezzo di valore o del solito bicchiere da mettere al prezzo fisso di 5.000 lire insieme a tutti gli altri. Prima del suo arrivo il Mercatino aveva una serie di standard da rispettare per velocizzare le valutazioni e gli oggetti venivano suddivisi esclusivamente per tipologia, grazie a Francesca avevamo capito che andavano valutati anche marca e qualità.

La mia scelta, dunque, ricadde su di lei, e le cose cambiarono fin da subito. I clienti tornavano volentieri perché finalmente sapevamo distinguere la zuppiera in vetro da mettere a poche migliaia di lire, da quella in cristallo, magari firmata, che poteva essere venduta anche a 100.000 lire. E i clienti, che quegli oggetti li avevano pagati tempo prima e che quindi ne conoscevano bene il reale valore, quando si sentivano compresi e appagati dal valutatore tornavano da noi per portare sempre nuova merce.

Le cose continuarono a migliorare continuamente e costantemente, e noi cominciammo a scalare velocemente la graduatoria di incasso dei Mercatini a livello nazionale.

Meritocrazia e responsabilità nel Business.

Essere a capo di una famiglia non è molto diverso fa fare impresa. In entrambi i casi ci sono responsabilità, dinamiche personali, attitudini e talenti che vanno gestiti al meglio.

Come per la mia famiglia, applico la meritocrazia e la responsabilità anche nelle mie aziende. L’obiettivo è avere sempre un ambiente meritocratico e responsabile in modo da dar vita a quella che io chiamo l’arte del delegare. Questo approccio mi ha aiutato, fin dalle mie prime imprese commerciali, ad avere un Team coeso, efficiente e appassionato. Un Team che ogni volta ha saputo fare la differenza in un mercato sempre più concorrenziale ed esigente.

 

Quali sono i traguardi raggiunti da tutta la mia famiglia, grazie al valore della meritocrazia?

Scoprili qui: https://www.felcarholding.com/felcar-holding/

Effetto Tony Robbins

Un albero rinasce effetto tony robbins sulla crescita personale

Può un evento singolo cambiare totalmente il corso di una carriera? Sì, se si tratta di un evento organizzato da Tony Robbins.
Ho avuto la fortuna di conoscere il valore del coach statunitense quasi per caso, attraverso un mio caro amico: Antonio.
Tutto è iniziato quando Antonio partecipò a Londra al seminario “Sprigiona il potere che è in te”.
L’amico che io conoscevo non tornò più dalla capitale inglese. Tornò invece una nuova versione di lui, carica di un entusiasmo e di una voglia di cambiare le cose tanto coinvolgenti quanto disarmanti.

I suoi racconti sull’ esperienza londinese mi incuriosirono: immaginavo queste 12mila persone stipate in una sala talmente grande che Tony Robbins lo si poteva vedere solo attraverso dei monitor giganti. Migliaia di persone che tornavano sconvolte, cambiate, decise a rimettere in discussione tutto ciò che avevano fatto fino a quel giorno. Persone che improvvisamente guardavano le cose con occhio diverso.
Mi ripromisi di partecipare a quell’incredibile onda di cambiamento. E poco dopo, mantenni la promessa.

Facciamo un passo indietro: chi è Tony Robbins?

È un imprenditore, autore di bestseller N°1 del NY Times, filantropo e life strategist. Tony Robbins ha formato alcuni dei più importanti e influenti leader al mondo ed è riconosciuto come il punto di riferimento mondiale nel campo del potenziamento personale e professionale. Un’autorevolezza fondata sul potenziamento di oltre 50 milioni di persone provenienti da 100 paesi.

Cosa mi ha convinto a scegliere il seminario “Sprigiona il potere che è in te”?

Credo che si possa imparare solo dai migliori, da quelle persone che hanno realmente raggiunto traguardi di altissimo livello. Tony Robbins è un esempio perfetto di imprenditore vincente: è presidente di una holding composta da 33 aziende, con un fatturato di oltre 5 miliardi di dollari l’anno. È stato premiato dai player più importanti del pianeta: “50 migliori intellettuali aziendali nel mondo” (Accenture); da “Top 200 Guru del business” (Harvard Business Press); “Top Six Business Leaders nel mondo” (American Express); “CEO Whisperer” (Fortune).

Quando poi ho scoperto le persone che hanno partecipato ai seminari di Tony Robbins, non ho più avuto alcun dubbio: Marc Benioff, fondatore di Salesforce.com, oltre che Star e atleti internazionali come Aerosmith, Green Day, Serena Williams e Andre Agassi.

Cosa ho trovato nell’evento di Tony Robbins.

L’evento “Sprigiona il Potere che è in Te” mi ha aiutato ad esprimere al massimo il mio potenziale. Un potenziale troppe volte imbrigliato da paure, esitazioni o zavorre dettate dalle aspettative sociali.
Durante i 4 giorni di seminario sono riuscito a raggiungere i primi, fondamentali traguardi che mi avrebbero aperto la strada per la mia carriera imprenditoriale. Ancora oggi raggiungere traguardi in campi diversi è una sfida irrinunciabile per me.

In quei 4, straordinari giorni ho: 

  • Allontanato per sempre le paure e i cosiddetti nemici invisibili che fino a quel momento mi avevano seguito e impedito di vivere la vita che desideravo. Qui scoprii come superare davvero ogni ostacolo.
  • Scoperto cosa hanno in comune i migliori atleti, dirigenti e imprenditori. Da qui ho iniziato a guardare i miei obiettivi trasformarsi in una nuova realtà.
  • Smesso di arrendermi, scoprendo segreti della mente umana fondamentali per fare enormi passi avanti nella vita professionale e privata.
  • Padroneggiato la formula del successo, suddivisa in 4 fasi, dove l’elemento numero 1 descrive chiaramente come i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
  • Trasformato il mio corpo in una bomba di energia, in modo da poter avere performance fisiche e mentali superiori, fondamentali per avere una marcia in più anche negli affari.
  • Eliminato lo stress e il senso di pressione, grazie a un sistema infallibile che mi ha aiutato a gestire il tempo e a raggiungere gli obiettivi che contano di più in ogni area della mia vita.

Il mio libro

L’evento e i successivi eventi formativi sono stati fondamentali per incanalare il mio potenziale e raggiungere il successo. Ho voluto raccontare in un libro una parte del mio percorso fatto di cadute e risalite, di follie e strategie. In “Da dipendente a imprenditore” i racconti di vita e l’esperienza personale si intrecciano con preziosi insegnamenti su strategia d’impresa, obiettivi da raggiungere, leadership, crescita personale e intelligenza finanziaria.

 

Quali sono i traguardi imprenditoriali che ho raggiunto?

Scoprili qui: https://www.felcarholding.com/felcar-holding/

Da Imprenditore a Pilota

Feliciano Lorenzo Di Giovambattista: esperienza da pilota

DA IMPRENDITORE A PILOTA
In questi anni ho scritto un libro e diversi articoli di analisi, dati e strategie che portano un uomo al successo: strumenti, esempi, statistiche. Volevo che il mio percorso fosse un esempio per chi ha grinta e volontà ferree per cambiare il suo futuro, imparando a gestire ostacoli e difficoltà come un pilota sulla strada.

 

PILOTA IMPRENDITORE O IMPRENDITORE PILOTA?
Durante il mio percorso professionale, la mia naturale e innata propensione al rischio mi ha spinto più volte a superare i limiti che mi imponeva la società, e qualche volta persino quelli che io stesso mi ero posto.

Una passione, quella per la velocità, nata in età adolescenziale con il primo motorino e ritrovata dopo qualche anno a bordo della mia Yamaha YZF750 e poi alla stupenda e potentissima Yamaha R1. Per scoprire presto il magico mondo della pista e i circuiti di Latina, Magione, Vallelunga e Misano ecc.


In pista era più facile superare i miei limiti e governare i pistoni, i giri del motore e la sinfonia del rombo del motore, come un direttore d’orchestra dirige i suoi musicisti.
Poi i viaggi in tutta Europa a bordo della mia moto da Gran Turismo, una BMW GS 1200 Adventure, e le sfide alla velocità in caduta libera con il bunjee jumping.

Oggi vorrei parlarvi della mia ultima esperienza in pista e di come l’essere un pilota abbia influito sulle mie capacità da imprenditore.

 

IL TROFEO PREDATOR’S
Dopo anni in cui ho coltivato la mia passione per la velocità su ogni mezzo possibile ho coronato uno dei miei sogni: partecipare alla mia prima gara di campionato nazionale su una Formula X.
Voglio ringraziare di cuore Alberto Naska che attraverso i social, in una calda serata primaverile, lo scorso anno mi ha permesso di scoprire questa competizione, valida per il Trofeo Predator’s, e dopo neanche un anno eccomi qui a disputare la mia prima gara, che si è svolta esattamente come nella Formula 1.
Stesso contesto, stessa procedura e stesse regole.

 

UN’ESPERIENZA INCREDIBILE
È stato un esordio davvero soddisfacente, una gara incredibile e tanto spettacolo sia dentro che fuori la pista.

Immaginate l’emozione: siamo scesi in pista il sabato mattina per le prove libere. Inizialmente poco sciolti poi sempre più sicuri osservando i grafici e i numeri che cominciavano a scorrere sullo schermo.
Ogni pilota è sempre alla ricerca della corrispondenza esatta tra curve e velocità nei vari punti della pista. Man mano che il tempo scorre, come per magia i piloti migliorano, la pista migliora e le velocità sul tabellone iniziano ad aumentare sempre più.

Poi inizia il bello: la domenica di qualifica, e qui arriva l’adrenalina vera.
L’emozione incredibile della gara, i meccanici a disposizione per regolare l’assetto, modificare le ali, fare rifornimento e cambiare le gomme. Ogni istante misurato dalla telemetria e aver modo di

capire in tempo reale, le aree di miglioramento.
Sono stati due giorni davvero straordinari.

 

AFFRONTARE LE CURVE CON METODO E ISTINTO
Come tutti gli appassionati e gli esperti sanno, in molti circuiti ci sono curve particolari, o punti precisi dove è necessario tanto cuore e tanto coraggio. Come un imprenditore impegnato a “guidare” la propria azienda, i piloti sono in grado di “sentire” la macchina sotto di loro. Sentono vibrazioni e sensazioni, ne osservano la risposta e provano a spingerla oltre al limite.
E così, come un direttore d’azienda osserva il mercato in cui si muove, un pilota deve conoscere la pista ed essere pronto. Ogni pilota sa che ci saranno dei punti critici dove rallentare e altri invece dove sarà necessario letteralmente “lasciar andare” la macchina. Sono quei momenti dove tutto si contrae, si smette anche un attimo di respirare, si fa tanta forza con le braccia e con tutto il corpo per rimanere lucidamente alla guida della vettura.

Ogni curva è diversa e ognuna ha in sé una caratteristica di rischio per un motivo o per un altro: scarsa visuale, un muretto troppo vicino in uscita, un banking sfavorevole che ti porta fuori traiettoria.
Sono quelli i punti dove l’uomo, il pilota, riesce a fare ancora la differenza rispetto al mezzo meccanico, dove ci vuole coraggio, consapevolezza dei propri mezzi, e quella piccola dose di follia che accomuna i campioni veri.

PowerX

Impianti di stoccaggio energia PowerX

Grazie all’assidua frequentazione della Community OSA, un giorno un imprenditore mi confidò l’idea di voler costituire una Start Up innovativa che si occupasse di progettare e realizzare sistemi di stoccaggio energia a batteria (energy storage).
La tecnologia di base era una batteria al sale (sodio-nichel) 100% green, 100% riciclabile e 100% sicura perché non infiammabile.

POWER X: L’IDEA

L’idea alla base del progetto era quella di efficientare l’uso dei gruppi elettrogeni in affitto i quali, per vari motivi, consumano tantissimo e sporcano molto. Serviva una mano dal punto di vista organizzativo e mi chiese se ero interessato a farne parte, oltre che come socio finanziatore, anche come socio esperto di organizzazione aziendale e controllo di gestione.

L’idea di far parte di una Start Up innovativa e di dare il mio personale contributo imprenditoriale, oltre che per la salvaguardia dell’ambiente, mi attirò subito, tanto che accettai senza pensarci su.
Cercammo altri soci finanziatori, ma con peculiarità imprenditoriali specifiche, in primis la condivisione dei nostri valori, e nacque la PowerX Innovation Technology S.r.l.

POWER X: UN PROGETTO INNOVATIVO

Il progetto mi aveva colpito: non si trattava soltanto di un nuovo prodotto ma di un nuovo modo di concepire e fruire l’energia immagazzinata. Il progetto infatti non si limitava all’innovazione sul prodotto, era innovativo a 360 gradi.

Una proposta di grande valore per il cliente, perché offriva una soluzione di risparmio energetico, e nel caso di noleggio di gruppi elettrogeni, di notevole risparmio di carburante. L’assistenza tecnica, o meglio la messa in servizio, sarebbe avvenuta tutta in remoto attraverso una App che sfruttava la tecnologia della realtà aumentata, il tutto con l’intento di ridurre i viaggi dei tecnici.
I servizi poi sarebbero tutti stati erogati attraverso un’incredibile App capace di trasmettere al cliente un’esperienza unica, con un programma di fidelizzazione e di referral collaborativo, con stoccaggio dati circa i profili di carico di tutti i noleggi fatti in precedenza.

Quando si dice innovazione! Ma non bastava: c’era nel programma di sviluppo anche l’applicazione di pannelli LCD agli involucri che avrebbero potuto ospitare passaggi pubblicitari dei nostri clienti.
Poi si pensava anche di realizzare sistemi mobili per la ricarica delle auto elettriche da destinare a location prive di infrastruttura: insomma un programma senza precedenti aderente al trend della decarbonizzazione.

Mi piaceva l’idea di contribuire in modo significativo alla riduzione dei consumi e quindi partecipare attivamente alla decarbonizzazione.

POWER X: NON SOLO BUSINESS

La sensazione di contribuire a rendere il mondo migliore di come l’avessi trovato mi spinse a promuovere e partecipare con entusiasmo a tutti gli incontri con il gruppo, che si tenevano una volta al mese. Grazie a questi incontri mensili, la definizione degli obiettivi e attraverso un brainstorming continuo oltre a un attento monitoraggio, in breve tempo riuscimmo a sviluppare un piano strategico ed economico davvero entusiasmante.

Partimmo dall’ottenere un accordo di esclusiva per i servizi a noleggio della batteria al sale, composta da contenitori di capacità minima di 22,5 kWh che, lavorando assieme ad altre, avrebbero potuto raggiungere capacità rilevanti ed interessanti per il settore industriale e non.
Poi facemmo disegnare le carrozzerie che avrebbero dovuto contenere le batterie e l’organo di controllo sviluppato in contemporanea. Cominciammo a noleggiare tali sistemi e a proporli in vendita.

POWER X: LA REALTÀ AUMENTATA

La realtà aumentata, nata per dare assistenza remota, venne poi proposta ad altri clienti e venduta come prodotto a sé stante, riuscendo così ad offrire un tool per mettere in contatto i clienti con un esperto che, a distanza, li guidasse passo per passo nella risoluzione di eventuali problemi, guasti, o semplicemente per l’ordinaria manutenzione, mostrando loro in che punto mettere le mani e quali strumenti utilizzare.

Una soluzione davvero innovativa, pensata per permettere non solo a chiunque acquistasse o noleggiasse le nostre batterie, ma anche a tantissime aziende di settori diversi che avessero noleggiato il sistema, di tagliare i costi dell’assistenza tecnica e risolvere subito intoppi e piccoli guasti, senza dover aspettare l’uscita di un tecnico che spesso si rivela inutile.

L’IMPORTANZA DEL TEAM

L’esperienza con Power X rappresentò, e rappresenta per me, un’ulteriore conferma che quando si fa gruppo, quando si uniscono competenze ed esperienze e si creano relazioni tra imprenditori, superando l’individualismo inculcatoci fin da bambini anche attraverso la scuola, è possibile costruire qualcosa di buono non solo per sé stessi, ma anche per gli altri.

FELICIANO LORENZO DI GIOVAMBATTISTA

Feliciano Lorenzo Di Giovambattista è attualmente Direttore Generale della Felcar Holding, la holding di famiglia, che conta ben tredici società partecipate, diversificate tra loro e circa 12 milioni di volume d’affari. Oggi si dedica alla pianificazione e alla strategia ed è costantemente alla ricerca di nuovi business da sviluppare.

Scopri il suo nuovo libro “Da dipendente a imprenditore”: un libro dove l’esperienza personale dell’autore si intreccia con preziosi insegnamenti su strategia d’impresa, leadership, crescita personale e intelligenza finanziaria.

Il Mercatino dell’Usato

L'imprenditore della Felcar: Feliciano Di Giovambattista

L’idea di trovare un nuovo progetto che mi desse una nuova scarica di adrenalina, da condividere magari con Antonio, continuava a frullarmi in testa. L’occasione giusta si presentò nella primavera del 1995, sotto forma di una nuova attività che scovai mentre percorrevo in auto una delle strade principali di Avezzano.
Un nuovo negozio attirò la mia attenzione. L’insegna “Ping Pong” non diceva molto e così entrai. Il locale, un ampio open space di oltre 100 metri quadrati, era pieno di oggetti di ogni tipo, dai soprammobili ai vestiti, dai servizi di piatti ai giocattoli per bambini.
“Per curiosità, qui che fate?” chiesi al negoziante.
“Conto vendita” mi rispose lui.
Il mio sguardo interrogativo fu abbastanza eloquente da spingerlo a spiegarsi meglio: “In pratica la gente viene da noi e ci porta oggetti che non usa più ma che hanno ancora un valore. Quegli oggetti che ‘è un peccato buttarlo, è costato tanto, è antico, può sempre servire ad altri’, ha presente?” mi spiegò.
“Ecco, noi li valutiamo, li esponiamo, e quando li vendiamo richiamiamo il proprietario che si prende i soldi meno la nostra provvigione del 35%” aggiunse.
Lo ringraziai e cominciai a vagare per il locale cercando di rielaborare le informazioni appena ricevute. Già di per sé mi parve una buona idea, ma ragionandoci su mi resi conto che era un’idea geniale.
Oltre al considerevole vantaggio di non dover passare gran parte del tempo a cercare nuovi fornitori (perché erano gli stessi fornitori a venire in negozio a proporre la merce) e alla buona marginalità, tra i costi fissi c’era solo quello dell’affitto del locale che non aveva nemmeno bisogno di arredamento. Notai inoltre che per esporre gli oggetti più piccoli si poteva utilizzare lo stesso mobilio portato in vendita dai clienti.
In pratica era come possedere una grande scatola vuota che avrebbero pensato gli altri a riempire. Geniale!

COME NASCE UN NUOVO PROGETTO

Uscito da lì chiamai subito Antonio: “Ho scoperto una cosa fantastica” gli dissi senza nemmeno salutarlo.
“Qui ad Avezzano c’è un negozio che rivende la roba usata che i clienti portano in conto vendita, tenendosi una percentuale” proseguii.
Lui mi interruppe subito: “Aspetta, ho letto qualcosa del genere su Millionaire proprio l’altro giorno, si parlava di un nuovo franchising italiano che fa qualcosa del genere. Cerco l’articolo, aspetta!”
Misi giù la cornetta e mi fiondai a casa sua. Rovistammo tra i giornali in salotto e ben presto saltò fuori la copia della rivista, che sfogliammo frettolosamente fino a trovare il trafiletto che ci interessava. Il franchising in questione si chiamava Il Mercatino S.r.l. e la sede principale si trovava a Verona. Non sapevamo neanche cosa fosse e come funzionasse un franchising, ma il giorno dopo, io e Antonio eravamo sulla A14 in direzione Verona.
Una volta giunti a destinazione incontrammo il direttore commerciale, che ci illustrò il funzionamento del franchising. Rimanemmo così colpiti da quella presentazione che dopo una breve trattativa ci affiliammo.
Scoprimmo che il franchisor metteva a disposizione, il proprio know how, l’esperienza maturata nel settore e un software gestionale più un corso di una settimana a Verona. Inoltre si occupava anche della parte burocratica relativa al rilascio delle licenze: un gran bel vantaggio per due come noi, che in quel settore non avrebbero saputo da dove cominciare. Se avessimo voluto fare da soli ci sarebbero voluti mesi, se non anni, prima di cominciare a vendere e noi volevamo partire subito.
A me e Antonio non restò che occuparci di trovare e affittare il locale. Individuammo quello giusto nella periferia di Avezzano. Erano 500 metri quadrati e c’erano dei lavori da fare: io e Antonio ce ne occupammo di persona, passando il resto della stagione a sistemare, riparare, pulire e dipingere.

Dato che le nostre mogli erano impegnate col mercato, assumemmo una ragazza per stare alla cassa e il suocero di Antonio come magazziniere/venditore. Io e lui, a fine servizio, ci fiondavamo in negozio, o a casa dei clienti, per fare le valutazioni degli oggetti che ci venivano proposti.
Grazie al corso di una settimana fatto a Verona avevamo imparato l’importanza di dare il giusto prezzo alle cose. Una valutazione troppo alta avrebbe spaventato il potenziale acquirente, una troppo bassa avrebbe offeso il potenziale venditore, un prezzo equo avrebbe invece soddisfatto entrambi.

Il nostro era il quinto Mercatino che apriva in Italia, e, dato che eravamo tra i primi ad aver creduto nel progetto, l’azienda si dimostrò particolarmente disponibile ad accogliere le nostre richieste. Per l’inaugurazione, il presidente della Mercatino S.r.l Ettore Sole, ci procurò qualche pezzo per riempire gli spazi vuoti e ci pagò il materiale per un’azione di volantinaggio.
Finita una prima ondata di entusiasmo da parte nostra e da parte degli abitanti di Avezzano, l’interesse calò e noi ci ritrovammo a tirare la cinghia: le entrate bastavano appena a coprire le uscite. Il nostro responsabile di zona non faceva che ripeterci che facevamo troppo a modo nostro, nonostante le precise direttive impartite dal franchisor.
Noi però non cedevamo: “Voi non capite, qui è diverso, i nostri clienti hanno una mentalità più provinciale, non si possono applicare le stesse regole che seguono gli altri Mercatini nelle grandi città”.
Dopo un anno però, nonostante la passione e l’impegno che ci mettevamo, gli incassi non decollavano: capimmo che non saremmo mai riusciti a far cedere né l’azienda né gli avezzanesi. A “cedere” dovevamo essere noi.

Dato che continuavamo a credere fermamente nelle potenzialità del progetto, decidemmo di fare il grande passo e di trasferirci a Roma. Trovammo un locale seminterrato di circa 600 metri quadrati a un buon prezzo e un ragazzo fidato, Andrea, a cui affidammo il ruolo di direttore affiancandogli altre 4 persone.
Dopo la sistemazione del magazzino e una basilare formazione del personale, aprimmo.
Avevamo fretta, forse troppa, e non ci accorgemmo che la nostra attività faceva acqua da tutte le parti. Letteralmente. Ogni volta che pioveva, infatti, il soffitto gocciolava in più punti. Dopo l’ennesima lamentela il proprietario accettò di sistemare la falla.
Un venerdì pomeriggio gli operai smantellarono il soffitto e lasciarono tutto così per riprendere i lavori dopo il weekend. Quella notte piovve e il giorno dopo ci ritrovammo con la merce che galleggiava in 10 centimetri d’acqua.
Riuscimmo a salvarne e recuperarne solo una parte, che rivendemmo subito per recuperare le perdite, ma il danno fu gravissimo. Anche perché durante i lavori, una notte, i ladri irruppero nel negozio e rubarono tutti i computer.
Decidemmo di smettere di pagare l’affitto e fare causa al proprietario del locale che naturalmente, dopo qualche mese, ci sfrattò.

Non ci scoraggiammo, non ci pensammo neanche un attimo a mollare, e quella che sarebbe sembrata una lunga serie di sfortune si tramutò nella nostra più grande fortuna.
Ormai incastrati in una ruota che girava all’impazzata e dalla quale difficilmente, a quella velocità, saremmo riusciti a scendere, decidemmo di continuare a correre, e trasferimmo il Mercatino e la poca merce rimasta in un nuovo magazzino di 1.000 metri quadrati nella Garbatella.
Il nostro direttore Andrea, provato da tutte quelle disavventure, non resse il colpo e ci salutò. Lo sostituimmo con Mario, un laureato di Avezzano che, nonostante la giovane età, si rivelò ben presto ambizioso e orgoglioso, nonché provvisto dello spirito di sacrificio necessario a raggiungere i nostri obiettivi.

Il Mercatino, nella nuova location e con il nuovo direttore, cominciò piano piano a ingranare. Era il 1997 e io e Antonio avevamo finalmente cominciato a pensare in grande.
La nostra fiducia nella nuova attività fu tale che, l’anno successivo, io e Carla decidemmo di vendere la licenza del mercato e di dire addio alla bancarella che ci aveva fatto assaporare per la prima volta la bella vita e le emozioni di un business vincente.

UN “GRAZIE” DAL CUORE

In questi 23 anni ho pensato spesso a quel cartello “Ping Pong” che attirò la mia attenzione.
Scrivere questo libro è stato come ripercorrere con grande emozione un cammino denso di incontri ed avvenimenti, che avevo in qualche modo messo da parte, e che riaffiorano d’improvviso prendendo forma.
Accarezzavo da tempo l’idea di ringraziare quella persona che, seppur inconsapevolmente, aveva rappresentato uno spunto fondamentale per l’avvio della mia esperienza con i Mercatini.
Esperienza che è stata, e continua ad essere ancora oggi, fonte di grandi soddisfazioni per me e di costante crescita personale e professionale.
Come spesso accade, cerco di tramutare in fatti concreti gli avvenimenti emozionanti, così, qualche giorno fa ho ritagliato un po’ di tempo per qualcosa che ritenevo importante e rimandavo da tempo.
Ho acquistato un buon Brunello di Montalcino in un’Enoteca, ho parcheggiato l’auto proprio di fronte al famoso cartello, sono entrato nel negozio con la confezione in mano e mi sono soffermato a guardarmi intorno, non ero più entrato lì da quel lontano giorno.
Un signore mi è venuto incontro chiedendomi gentilmente se avessi bisogno di aiuto.
Gli ho mostrato il dono, spiegando che ero lì per ringraziare proprio lui. Ovviamente era una situazione decisamente insolita e il suo sguardo confuso me lo confermava. Così mi sono affrettato a tranquillizzarlo, precisando che non era mia intenzione vendergli nulla, l’intento era soltanto quello di ringraziarlo.
Ho raccontato la storia del mio dono e le sue perplessità si sono dissipate.
Abbiamo parlato a lungo di tante cose, della mia visita lì di tanti anni prima, del viaggio a Verona, di un percorso diviso con Antonio che in qualche modo è ancora al mio fianco.
Lì in quel negozio, qualche tempo fa nacque la scintilla che ha dato il via alla mia avventura con i Mercatini e di questo volevo ringraziarlo personalmente.
Il nostro è stato uno scambio di esperienze, la condivisione di un momento e di una stretta di mano che ha lasciato ad entrambi un bellissimo sorriso sulle labbra.

 

 

 

 

 

Uno sguardo al Futuro

Feliciano Di Giovambattista e il suo libro

Oggi sono a capo di una Holding che conta ben undici società partecipate, diversificate tra loro sia per settore che a livello geografico, 70 dipendenti e circa 12 milioni di volume d’affari; nonostante ciò continuo ancora adesso ad emozionarmi come fosse la prima volta nel cercare, valutare e avviare nuove attività.

Un’emozione che mi sveglia al mattino con la stessa luce negli occhi, lo slancio e l’energia di quando, da bambino, non vedevo l’ora di alzarmi per correre a giocare con un nuovo giocattolo.

Cosa mi riservi il futuro non mi è dato saperlo. Ma non ho dubbi che, finché ne avrò la possibilità, non mi limiterò ad assistere passivamente al film della mia vita.

Oltre a esserne il protagonista principale ne sono anche il regista, e ho tutta l’intenzione di dare il mio stile e la mia firma a ogni singola scena che dovrò affrontare.

Non sono sicuro di poter dire cosa farò esattamente tra uno, tre, cinque, dieci anni. Ma un’idea ce l’ho.

Negli ultimi anni ho cominciato a includere tra le mie attività gli investimenti immobiliari. Nel 2017, ho dato vita alla TOP Performance, società aperta insieme ad altri imprenditori conosciuti in OSA con lo scopo di acquistare per poi rivendere case all’asta e NPL, non performing loans.

Ad oggi, la TOP Performance ha acquisito sette appartamenti in Milano e provincia in procinto di essere venduti.

Nel 2018 è stato il turno di Passinc, società aperta a Torino con un socio folle e ambizioso forse quanto me, Antonello Maruca, conosciuto frequentando i corsi di Robbins ed Eker. Lo scopo era acquistare e mettere a reddito appartamenti a Torino, città che si è rivelata da subito particolarmente conveniente, con un ottimo rapporto tra il costo d’acquisto degli immobili e il reddito che offrivano a livello percentuale. Al momento la Passinc possiede otto appartamenti a reddito e si appresta a effettuare operazioni di flipping immobiliare.

Per fare qualche nuovo investimento in autonomia su Milano e Roma, a fine 2018 ho acquistato anche una vera e propria società già operante nel settore immobiliare, Iniziative Immobiliari S.r.l.

Con l’ausilio di Fabio, un ragazzo milanese piuttosto in gamba anch’esso conosciuto in OSA, ho preso diversi appartamenti di grandi dimensioni, e a volte interi piani di immobili in zona Stazione Centrale a Milano che, una volta divisi in appartamenti più piccoli e ristrutturati, rivendiamo con un discreto profitto.

Giunto a quota 4 società immobiliari, oltre ad attingere ai miei fondi personali e al credito bancario, ho cominciato anche a coinvolgere nei miei investimenti amici e conoscenti di fiducia. Una fiducia che in molti mi hanno dimostrato affidandomi i loro risparmi, ottenendo in cambio il tornaconto che avevo promesso loro.

Una fiducia che oggi mi spinge a propormi a un mercato sempre più ampio e internazionale, cercando investitori sia in Italia che all’estero con cui effettuare operazioni di riqualificazione e nuove costruzioni nelle principali città italiane, Milano in primis.

Il mio obiettivo a lungo termine?

Realizzare un progetto decisamente ambizioso che, ne sono certo, lascerà un segno del mio passaggio su questa terra.

Ho già visualizzato chiaramente quel futuro, l’ho visto, ho impresso nella mente ciò che mi aspetta, e farò di tutto perché ogni mia azione vada in quella direzione.

La mia barriera corallina è lì, oltre il reef, dove il mare è calmo.

Ci riuscirò? Beh… Chi vivrà vedrà!

I Cavalli

L'imprenditore Feliciano Di Giovambattista a cavallo del suo stallone purosangue

Tengo molto a una parte della mia vita che ho dedicato all’esperienza con i cavalli, perché credo che nel rapporto tra cavallo e uomo si possano trovare infiniti insegnamenti e ispirazioni relativamente alle relazioni. Non mi riferisco soltanto alle relazioni personali, trovo questi insegnamenti applicabili in tutti i settori e in particolare nel mondo del business.

Erano gli anni 90 e io stavo muovendo i primi passi tra le mie attività. Da una precedente esperienza con l’allevamento avevo conservato la vecchia stalla, decisi quindi di acquistare 2 cavalli seguendo l’istinto e la moda del momento.
Dopo alcune ricerche decisi per una coppia di purosangue inglesi dai quali, successivamente, nacque anche un puledro che riuscii a rivendere.

Quando riuscivo a ritagliarmi del tempo era bello poterlo passare insieme ai miei cavalli. Lo stallone, testardo e maestoso, non faceva mai quello che gli chiedevo a meno che non usassi la forza. E solo allora riconosceva il mio valore, chinava la testa e mi ascoltava.
La cavalla, invece, era dolcissima e letteralmente innamorata di me. Andava trattata con i guanti: con la gentilezza e una carezza in più riuscivo a convincerla a fare qualsiasi cosa, ma se mi mettevo a fare il duro si opponeva ai miei comandi e metteva tra di noi un muro invalicabile.
Gli istintivi esperimenti sociali, che da bambino avevano riempito le mie giornate, in qualche modo avevano accompagnato tutto il mio cammino e in quel tempo trascorso con i miei cavalli imparai tantissime cose. La natura, il silenzio, quei momenti rubati alla vita frenetica erano momenti di crescita e riflessione. Momenti in cui tirare, a volte, anche un po’ le somme del passato e guardare al futuro.
Osservando i miei cavalli e i loro comportamenti, mi resi conto con il tempo, che la società era costituita da persone che, con sfumature diverse, mostravano un carattere simile all’uno o all’altro.
Imparai così ad affinare la mia abilità nelle relazioni sociali e ad adottare un comportamento diverso a seconda di chi mi trovavo di fronte, sfruttando la stessa strategia imparata proprio grazie alla mia coppia di purosangue.

La passione che nutrivo per i miei cavalli era condivisa da molti abitanti della zona, ed era particolarmente diffusa tra i più giovani. Così, approfittando del periodo in cui ero membro della Pro Loco, decisi di organizzare un evento dedicato agli appassionati come me: una corsa amatoriale.
Non avendo a disposizione una pista, contattai dei conoscenti che organizzavano corse sull’asfalto in provincia di Roma. Li invitai a Massa D’Albe, dove mi aiutarono a organizzare la gara e mi raccomandarono di assicurarmi che tutti gli animali fossero dotati degli appositi ferri antiscivolo in alluminio. A differenza della classica versione in ferro, quelli in alluminio erano stati appositamente studiati per facilitare la locomozione dei cavalli su quella tipologia di terreno, riducendo l’impatto con il suolo e le conseguenti vibrazioni trasmesse agli arti.
Dopo essermi occupato della sicurezza e del benessere dei cavalli in gara, mi occupai dell’evento curandolo nei minimi particolari, dalla richiesta dell’autorizzazione in comune, con la relativa chiusura delle strade, alla disponibilità di un’ambulanza, fino alle varie autorizzazioni di pubblica sicurezza necessarie perché tutto fosse in regola.
Mi accertai perfino che ci fossero le classiche gabbie di partenza usate nelle corse ufficiali. Per procurarmele dovetti chiedere l’aiuto di un amico che venne a ritirarle insieme a me con il suo carro attrezzi.
La buona riuscita di quell’evento rappresentò per me l’ennesima conferma che, a volte, anche quella che sembra un’idea folle può trasformarsi in un successo.

I CAVALLI E LA RESILIENZA

In realtà la dote più importante che ho appreso dalla mia avventura con i cavalli è stata il loro coraggio e l’incredibile resilienza.
Coloro che possiedono un alto livello di coraggio e resilienza nella vita come nel business riescono a fronteggiare efficacemente le contrarietà, a dare nuovo slancio alla propria esistenza e perfino a raggiungere mete molto, molto importanti. Si tratta, sostanzialmente, di persone ottimiste, flessibili e creative, che sono in grado di lavorare in gruppo e attingono spesso alle proprie e altrui esperienze.
Ancora oggi scelgo i miei collaboratori facendo molta attenzione alle loro caratteristiche e alla loro capacità di raggiungere gli obiettivi condivisi.

L’Arte del Delegare

L'imprenditore Feliciano Di Giovambattista che stringe la mano ad un dipendente

In quel periodo alcuni amici e conoscenti cominciarono a definirmi un imprenditore seriale. È vero, mi piaceva spaziare in nuove tipologie di business, diversificare sia a livello settoriale che geografico, non riuscivo a immaginarmi di mollare tutto e focalizzarmi su un’unica attività, magari la più redditizia, come in molti mi consigliavano, o addirittura vendere tutto e godermi la vita.
Cercare e intraprendere nuovi business ormai era diventato il mio pane quotidiano. Era proprio questo il mio lavoro, e la libertà di potermi concentrare su quest’unico aspetto me l’ero conquistata duramente circondandomi di collaboratori validi e, soprattutto, imparando a delegare.

L’ARTE DEL DELEGARE: UNA SCELTA IMPORTANTE

Mi premeva scegliere personalmente, e solo dopo una lunga selezione e riflessione, chi avrebbe ricoperto i ruoli chiave nelle mie attività.
Di solito, sceglievo chi mi dava l’impressione di avere gli occhi della tigre. Il che non significa che cercavo persone superbe o dai modi aggressivi, ma avevo imparato a individuare coloro che, con leadership, ambizione e spirito di competizione, avrebbero amato il lavoro che stavo per offrire loro e si sarebbero sacrificati per raggiungere gli importanti obiettivi che avremmo condiviso insieme.

L’ARTE DEL DELEGARE: LA MIA ESPERIENZA

Papà tu come fai? A gestire i tuoi collaboratori, intendo. I tuoi ragazzi sono così indipendenti, propositivi… entusiasti! Ti prego, dimmi che c’è un trucco” mi disse un giorno mia figlia Nancy.
Eravamo andati a trovarla a Milano, e lei era arrivata alle nove passate, dopo una dura giornata di lavoro, con l’umore di una a cui non era il caso di chiedere: “Come va?”.

Sai, una volta ho letto in un libro un consiglio che mi ha colpito molto” iniziai a dirle.
Diceva che non si può semplicemente ordinare ai propri uomini di raccogliere, tagliare e inchiodare un’enorme catasta di legna per costruire una nave. Devi motivarli” spiegai.
Meglio piuttosto raccontare loro quanto è meraviglioso il mare, quanto hanno da offrire le terre al di là delle acque e quanto sia entusiasmante viaggiare con il vento tra i capelli, solcando le onde alla ricerca di nuove avventure”.

Ok, certo: motivarli dando loro un obiettivo” convenne Nancy.

Esatto, ma bisogna anche saper vagliare attentamente gli obiettivi da porre ai tuoi collaboratori: devono essere ambiziosi, sì, ma anche raggiungibili” Nancy mi ascoltava attentamente.
I tuoi uomini devono avere sempre l’impressione di poterli quasi toccare con mano, e, se non riuscissero a raggiungerli, di esserci comunque andati molto vicino. Se poi riesci anche a creare una sana competizione tra loro, ancora meglio” conclusi.

Come fanno quelli del franchising Mercatino mandandovi il giornalino mensile con le classifiche?” chiese mia figlia.

Sì, è un esempio perfetto” concordai.
Ogni volta che arriva chiedo ai ragazzi di aspettarmi per guardare la classifica tutti insieme. In quel momento li faccio sentire come se partecipassero a una gara di Formula Uno” le spiegai.
Dico loro che noi siamo il Mercatino Rm/16, e siamo a bordo di una Ferrari. Siamo velocissimi, ma davanti abbiamo il Mercatino di Rm/11. Superarlo è il nostro obiettivo ma dobbiamo anche tenere un occhio sempre sullo specchietto perché il Mercatino di Rm/25 ci sta col fiato sul collo. Sono proprio lì, attaccati a noi, e anche solo rallentare per noi sarebbe rischioso, perché potrebbero sorpassarci in un battibaleno” proseguii.
Una buona tattica è quella di rimanere sempre focalizzati sugli obiettivi senza mollare, per nessun motivo, mettersi in scia a Rm/11 e prepararsi a sorpassarla alla prima buona occasione” conclusi infervorato.

Il fatto è che oltre a saper gestire i propri collaboratori forse bisognerebbe anche e soprattutto saperli scegliere” commentò Nancy.

Vero, ma questa è una cosa che si impara con il tempo, dopo un’infinità di colloqui” le risposi.
Io per esempio all’inizio commettevo sempre lo stesso errore: selezionavo persone con doti da leader, indipendentemente dal ruolo che avrebbero dovuto ricoprire. E puntualmente le cose non funzionavano perché tutti i membri del team non perdevano occasione per discutere, spesso animatamente, cercando di imporre le proprie opinioni” aggiunsi.
Il problema era che tendevo a scegliere le persone in base ai miei gusti e alle mie simpatie personali, selezionandole spesso a mia immagine e somiglianza” proseguii.
Un errore clamoroso: la stessa persona, ad esempio, non può essere adatta sia al ruolo di commesso che a quello di direttore. Ci vogliono due caratteri completamente diversi”.

Nancy annuiva pensierosa.
E poi, una volta trovata la persona giusta?” chiese.

Beh una volta scelta la persona adeguata al suo ruolo e al tipo di attività, essa va formata e contestualizzata al team già esistente in cui verrà inserita. Considera che il team di Rm/02 è così coeso, motivato e attento agli interessi dell’azienda che decide in autonomia se il nuovo arrivato ha le caratteristiche giuste per far parte della squadra. Non tollerano chi è privo di spirito di squadra o di competizione, e chi non condivide la filosofia dell’azienda”.

Addirittura? Sono così aziendalisti?” chiese Nancy.

In realtà, se ci pensi, hanno un interesse personale nel comportarsi così” replicai.
Non vogliono rischiare che un nuovo arrivato, attraverso degli atteggiamenti non consoni allo spirito di squadra, li rallenti nel perseguimento dei propri obiettivi settimanali, mensili o annuali. In qualche modo questo li ha anche resi più aziendalisti, come dici tu” le sorrisi.

Come?” mi chiese.

Tu per prima dovresti saperlo bene dato che ti ho cresciuto io: ho sempre perseguito la strategia basata sulla meritocrazia” le dissi ammiccando.

Oh sì, quanto ce li hai fatti sudare quei motorini…” sorrise Nancy, inseguendo con gli occhi nel vuoto un ricordo lontano e pensando alla mia teoria sulla Programmazione Contestuale.

A parte quello, per me è sempre stato fondamentale che tutti, e in primo luogo i responsabili, fossero costantemente aggiornati sull’andamento dell’azienda” le dissi tornando serio.
Tutti in azienda sono al corrente di quanto incassiamo noi, ma anche quanto incassano i nostri competitor. E sanno che il guadagno è come una bella torta: a ciascuno spetta una fetta, così più la torta è grande più grandi saranno le singole fette” proseguii.
E poi voglio, anzi pretendo che chiunque ne abbia il desiderio e le capacità, possa crescere senza alcun limite in azienda” precisai.

Beh questo è molto bello” convenne Nancy.
È fantastico sapere di poter arrivare dove si vuole, costruendosi il proprio stipendio, anziché ambire solo al classico aumento” aggiunse pensierosa.

Già. Con tutto quello che ho passato non sarò certo io a tarpare le ali a chi lavora per me. Anzi… con me” mi corressi.

La Formazione Personale: la Ruota della Vita

La Ruota della Vita di Tony Robbins

La mia esperienza imprenditoriale è cominciata quando avevo 23 anni e tanti sogni nel cassetto. È stata una crescita lenta ma continua e costante nel tempo, caratterizzata dalla curiosità, dalla propensione al rischio, dalla crescita personale, dall’ambizione e soprattutto dalla determinazione.
Ho sempre ritenuto fondamentale affiancare alla formazione professionale un percorso di formazione personale che convogliasse la mia tenacia verso obiettivi ben definiti.
Una formazione personale che necessariamente deve continuare per tutta la vita: non si ferma ad un diploma o un’abilitazione, ma prosegue costantemente per mezzo di corsi di approfondimento e di aggiornamento.

LA MIA FORMAZIONE PERSONALE: TONY ROBBINS

La mia passione per la crescita personale si perde nel tempo e iniziò nel 2011 quando decisi di iscrivermi a un seminario di Tony Robbins che si teneva a Rimini.
Furono 3 giorni intensi e affascinanti. Oltre all’innegabile carisma di Robbins, che con la sua voce potente ci teneva incollati alle sedie dalla mattina presto alla sera tarda, mi colpirono molto alcuni esercizi di introspezione che ci chiese di fare per ottenere un’utile auto-analisi del nostro profilo personale, soprattutto sotto il punto di vista delle relazioni.

LA RUOTA DELLA VITA DI TONY ROBBINS

Durante quei 3 giorni a Rimini sentii parlare per la prima volta della famosa Ruota della Vita di Robbins, un esercizio che permette di scattare un’istantanea della propria esistenza suddividendola in più sezioni.
La vita è come una ruota divisa in spicchi”, ci spiegò Robbins.
“Uno per ogni area: lavoro, finanze, famiglia, relazioni, salute, fisico, divertimento, spiritualità. Il vostro compito oggi sarà dare un punteggio a ciascuno spicchio in base alla situazione in cui pensate di trovarvi ora, considerando che il centro della ruota corrisponde a 0 punti (un valore che non potete inserire perché significherebbe che siete morti), mentre la circonferenza esterna corrisponde a 10 punti, e rappresenta l’eccellenza assoluta” continuò.
A quel punto colorate ogni area fino al punteggio che vi siete dato: otterrete una situazione chiara di quanto siano bilanciate le varie componenti della vostra vita, e di quali siano le aree su cui dovrete lavorare di più per creare un buon equilibrio” concluse Robbins.
Io cominciai subito a colorare il mio grafico, dando un 8 pieno al lavoro, un 7 alle finanze, un 6 alla famiglia, un 4 alle relazioni, un 7 stentato alla salute, un 6 al fisico, un 4 al divertimento, e un impietoso 3 alla spiritualità.
Quando Robbins mi si avvicinò gli mostrai il mio grafico.
Un po’ sbilanciato… eh?” esclamai quasi imbarazzato.
Feliciano, hai una moto?” mi domandò.
” risposi, sorpreso dalla domanda.
Bene, immagina che questa sia la ruota anteriore della tua moto, quella in sella alla quale stai percorrendo la tua vita. Guardala: non è circolare, è tutta a gradini e piena di spigoli” aggiunse con calma.
Come pensi che sarà viaggiare con una ruota del genere?” mi domandò infine.
Decisamente poco confortevole, e forse anche pericoloso” azzardai pensieroso.
Lui non disse niente: si limitò a farmi l’occhiolino e si allontanò.

Cominciai da subito a lavorare sulle mie aree poco colorate, ancor prima di rientrare a casa. E da allora non ho mai smesso di formare me stesso continuando con corsi sempre più specifici ed interessanti. Seguii Robbins in tutti i suoi corsi. Londra, a Roma e a Palm Springs, ai quali partecipava una cerchia sempre più selezionata di persone che aveva resistito alle varie fasi precedenti.

LA CRESCITA PERSONALE: OSSERVARE SÉ STESSI

Grazie a quel corso, riuscii a individuare una serie di esperienze limitanti fatte durante la mia giovinezza che avevano influenzato pesantemente la mia vita ed a volte anche le mie scelte lavorative. Con l’aiuto di Robbins riuscii a riconoscerle e rimuoverne una buona parte dal mio subconscio.
La “Ruota della Vita” in realtà è un esercizio apparentemente semplice che ci permette di scattare un’istantanea della nostra vita.
Ritengo che sia fondamentale applicarla periodicamente e fermarsi a osservare in profondità ad ogni area della nostra vita, valutarne i punti di forza e le mancanze per capire quante e quali attenzioni poi dedicarle.
La vita ci presenta ostacoli spesso imprevisti, osservare la nostra personale Ruota della Vita deve essere come guardare la ruota della nostra moto, o della nostra bici e pensare che, anche quando soltanto uno dei raggi è più corto, l’intera ruota non è più in asse.

LA CRESCITA PERSONALE: UNA VISIONE OGGETTIVA

Questo metodo ci consente una visione un po’ distaccata, razionale e analitica della nostra vita e identificare quindi quelle aree in cui sta andando tutto alla grande e quelle invece che hanno margini di miglioramento.
Soprattutto se hai degli obiettivi precisi da raggiungere, per scoprire la distanza che esiste tra dove ti trovi oggi e dove invece vorresti arrivare devi allineare i raggi della Ruota della Vita!
La maggior parte delle persone che conosco è scontenta e non fa che lamentarsi in continuazione della propria situazione. Ma quando chiedo loro cosa vogliono veramente, qual è il loro obiettivo, non sanno quasi mai cosa rispondere.
Ci sono troppe persone che nella vita tirano avanti ma non hanno la sensazione di essere i veri artefici delle proprie vite.
Per diventare il vero ed unico artefice della tua vita devi per prima cosa analizzare la tua Ruota della Vita, crearti una mappa di dove ti trovi in questo momento, capire da dove parti, chi sei, qual è la tua situazione iniziale.
Solo così potrai valutare i possibili ostacoli e passare subito all’azione.

LA FORMAZIONE PERSONALE: UN VALORE AGGIUNTO

Reputo che la formazione personale sia un valore non solo per il professionista ma anche per i suoi partner e collaboratori.
Il successo di un imprenditore deriva dalla costanza e dalla capacità non soltanto di apprendere cose nuove e aggiornare competenze consolidate, ma anche di riuscire poi a trasmettere quel sapere nei contesti e negli ambiti in cui sono necessari. Abilità fondamentali per risolvere i problemi che si pongono nella gestione di un’azienda o di un insieme di aziende, come la Felcar Holding ad esempio, e del suo complesso di attività.
In realtà trovo che formare costantemente sé stessi sia anche un modo eccellente di tenere la mente fresca ed allenata alle problematiche che un professionista deve affrontare quando lavora. E vorrei aggiungere che molto spesso i corsi cui mi dedico mi piacciono, mi appassionano e in un certo senso mi fanno sentire meglio!

 

 

Come si Raggiunge un Obiettivo?

Come si raggiunge un obiettivo: lo schema

Un obiettivo è un sogno con una data di scadenza:  se non ti dai una scadenza un sogno rimarrà sempre tale!
La prima cosa da fare è capire da dove parti, chi sei, qual è la tua situazione iniziale.
Immagina il tuo obiettivo come un viaggio. Sai dove ti trovi, ipotizziamo a Roma. Se non sai qual è la tua meta continuerai a lamentarti del fatto che Roma non ti piace, ma resterai comunque lì.
Che poi è quello che fa la maggior parte della gente: lamentarsi della propria vita ma non fare assolutamente nulla per cambiarla.
Qualcuno, per fortuna, invece sa cosa vuole, sa dove vuole andare, per esempio a Milano. E questo è già un bel passo avanti, certo.
Peccato che molti, una volta scelta la meta e scelto l’obiettivo, per una serie di motivi non riescano a raggiungerli.
Alcuni, i perfezionisti, prima di partire aspettano che venga costruita un’autostrada senza curve e perfettamente in piano, che la temperatura sia ottimale, etc. L’obiettivo è evitare di correre qualsiasi rischio, ma la conseguenza è che passeranno la loro vita ad aspettare le condizioni perfette, che probabilmente non arriveranno mai. E così rimarranno per sempre dove sono.
Poi ci sono gli sprovveduti, quelli che partono in quarta, senza nemmeno aver dato un’occhiata alla cartina. Entusiasti e impulsivi, per la fretta di partire sbagliano direzione e anziché puntare verso il Nord, vanno in direzione est, oppure a ovest, o addirittura si dirigono in direzione sud.
Anche loro a Milano non ci arriveranno mai, perché un viaggio va studiato prima di partire!

 

COME SI RAGGIUNGE UN OBIETTIVO?

Per raggiungere un obiettivo è fondamentale stabilire dove ci si trova, dove si vuole arrivare e in quale direzione si trova la nostra meta.
Adesso è opportuno fare una macro valutazione dei mezzi che si hanno a disposizione per raggiungerla. In base alle risorse economiche e al tempo di cui si dispone puoi scegliere di andare a Milano in aereo, in treno, oppure in auto.
Se ad esempio non hai molto budget devi fare una cernita più attenta dei mezzi. Allo stesso modo, se hai solo due o tre ore di tempo devi per forza prendere l’aereo.
Se invece puoi prendertela con calma puoi anche permetterti di risparmiare un po’. Se hai a disposizione un mese, per assurdo, potresti fartela anche a piedi, se lo volessi!
A questo punto dovrai valutare i possibili ostacoli che potresti incontrare durante il viaggio, ma senza andare troppo nel dettaglio. Se è inverno, per esempio, e hai deciso di viaggiare in auto, pensa che potrebbe nevicare, pertanto è meglio se ti doti di catene per la neve.

 

COME SI RAGGIUNGE UN OBIETTIVO: I DETTAGLI

Perché non devo valutare anche i più piccoli ostacoli nel dettaglio?
Elencare tutti i possibili problemi che potresti incontrare durante il viaggio non ti farebbe partire affatto. Fare una valutazione troppo attenta ti prenderebbe tempo, e più passa il tempo più passa l’entusiasmo.
Con il passare dei giorni tenterai di auto boicottarti per poter restare nella tua zona di comfort. Spaventato da quella mole di possibili, ma improbabili tragedie, preferirai rinunciare alla tua meta e spendere il budget che avevi previsto in un’auto nuova, o in uno sfizio qualsiasi.
Invece ora che hai tutto puoi partire.

 

RAGGIUNGERE UN OBIETTIVO PASSANDO ALL’AZIONE

Dopo aver fatto una macro valutazione di fattibilità, passa subito all’azione prima che la tua zona di comfort ti richiami e ti faccia cambiare idea.
Attenzione però, per quanto tu sia sicuro della tua direzione non fare l’errore di percorrere la strada tutta d’un fiato, senza fermarti mai.
Anche in questo caso rischieresti di non arrivare perché se la traiettoria, in partenza fosse sbagliata anche solo di un grado, ti ritroveresti a Bergamo anziché a Milano.
Il segreto sta nel monitorare il viaggio, fermandosi ogni tanto per valutare se si sta andando nella direzione giusta: se ci si accorge che si è usciti fuori rotta, riaggiustare il tiro e ripartire, per poi fermarsi ancora, ricontrollare i parametri, aggiustare ancora la direzione e ripartire. E così via, fino a raggiungere la meta.
Magari ci metti più tempo, ma alla fine puoi essere certo che raggiungerai l’obiettivo.

 

COME SI RAGGIUNGE UN OBIETTIVO: IL MONITORAGGIO È IL SEGRETO

Monitorare il tuo viaggio è il segreto per raggiungere l’obiettivo.
Si chiama controllo di gestione ed è fondamentale quando si dirige un’attività. Ogni due o tre mesi mi fermo e controllo come e dove siamo arrivati, in quale direzione stiamo andando, se stiamo rispettando tutti i parametri che avevamo stabilito ed eventualmente cosa possiamo correggere.

 

COSA FACCIAMO QUANDO SI RAGGIUNGE UN OBIETTIVO?

Festeggiamo!
Festeggiare un traguardo è importante. Festeggiare regala un senso di benessere che pervade la persona fin nel profondo, spingendola a porsi nuovi obiettivi.
Perché è questo il passo successivo!
Subito dopo i festeggiamenti, all’apice dell’entusiasmo e del successo, bisogna individuare una nuova meta, e ricominciare da capo.
Siamo come sassi che rimbalzano sull’acqua: se rallentiamo o ci fermiamo andiamo a fondo.

Insomma, mai accontentarsi?
Mai accontentarsi!

Programmazione Contestuale

L'impegno di un uomo che scala una montagna: programmare sé stessi

Ho dedicato molto tempo alla formazione, ritengo che sia una parte fondamentale della crescita personale e professionale di ognuno di noi.
Studiando e frequentando corsi di formazione sulla psicologia economica finanziaria, leggendo libri che parlavano di libertà finanziaria e confrontandomi con più persone sull’argomento ho avuto la possibilità di elaborare strumenti, tecniche e teorie efficaci ed efficienti da applicare in ogni settore della mia vita, compreso quello personale e familiare.

Ho chiamato questa mia teoria Programmazione Contestuale e un giorno la proposi a mia moglie non senza una sua certa sorpresa.

“Non ho capito: che vuoi fare con le bambine?” mi chiese lei confusa.

“Programmarle” le risposi sorridendo.

“In che senso?” mi chiese, ancora più stranita.

“Pensaci bene” le spiegai, facendola accomodare sul divano.

“La maggior parte delle persone nascono, crescono e vivono in un contesto ben preciso che influenza le loro scelte e, di conseguenza, il loro futuro” continuai.

“Le primissime esperienze si fanno in famiglia, poi arriva la scuola e in seguito la società, a volte anche la religione”.

“In Occidente, per esempio, ci viene insegnato che bisogna studiare, impegnarsi, diplomarsi, eventualmente laurearsi, cercare un lavoro sicuro, comprare un’auto, mettere su famiglia, fare un mutuo per acquistare una casa e dei beni, e dopo aver lavorato per 40 anni, andare in pensione e infine morire, ma non prima di aver insegnato ai propri figli che è solo e soltanto così che bisognerebbe vivere”, le dissi sempre più convinto.

“Alla nascita siamo tutti bicchieri vuoti pronti da riempire”, continuai entusiasta.

“Bicchieri la cui forma e composizione può variare a seconda di chi incontriamo nel corso della nostra vita. Fin da piccoli, tutti quelli che ci circondano contribuiscono a riempirci un po’: i genitori, i nonni, la religione, i compagni di scuola, gli insegnanti, gli amici, i colleghi, i vicini di casa, nonché le situazioni e le esperienze che viviamo”. “Tutto entra nel bicchiere, soprattutto fino all’età di 6 anni, quando cominciamo a mettere qualche filtro e a scegliere in chi o in cosa credere, a chi affidarci. Ma in generale, tutto e tutti hanno un’influenza su di noi”.

Carla non sembrava molto convinta.

“Non so Feliciano… tu non mi sembri esattamente ‘programmato’ da altri”, mi interruppe Carla pensierosa.

“Anzi, mi pare che tu sia sempre andato contro la tua famiglia, gli amici e chiunque ti dicesse cosa fare” aggiunse.

“In realtà tutti noi siamo stati e siamo continuamente programmati, anche se in alcuni casi, su persone come me, alcune influenze funzionano al contrario” le risposi.

“Oggi, sono quello che sono proprio grazie al contesto in cui ho vissuto da piccolo. È stato proprio perché ho convissuto con gli scorpioni, in una casa senza bagno, che ho fatto di tutto per non offrire lo stesso destino ai miei figli”.

“Forse hai ragione, ma non ti dà fastidio pensare che sei quello che sei, solo perché sei nato a Massa da una famiglia di contadini nel nostro secolo? Non ti disturba l’idea di essere stato inconsapevolmente programmato da altri?”.

“È proprio qui il bello” le risposi sorridendo.

“Perché con il tempo ho capito che, se fossi riuscito ad accettare la sconcertante verità di essere stato programmato, sarei stato in grado di sfruttare la cosa a mio vantaggio”, feci una pausa.

“Così come sono stato programmato… Posso anche riprogrammarmi, no? Ma nella direzione che voglio io, verso ciò che mi rende veramente felice. Per riprogrammarci, però, dobbiamo avere l’umiltà di ammettere che non possiamo farcela da soli”, continuai.

“Il contesto in cui viviamo continua a essere fondamentale. Per questo la prima cosa da fare per cambiare vita è cambiare il contesto in cui si vive. Per me, avere avuto accanto una donna come te… Ecco…”, esitai.

“È stato fondamentale” aggiunsi con un pizzico di imbarazzo.

“Così come lo è stato l’incontro con Antonio”, mi affrettai ad aggiungere prima di arrossire.

“Io e Antonio abbiamo deliberatamente scelto che nella vita volevamo diventare ricchi. Una scelta di cui in Italia sembra quasi ci si debba vergognare”, feci una pausa.

“Noi abbiamo avuto il coraggio di ammettere di voler guadagnare più di quanto potessimo spendere, e solo così siamo riusciti a ottenerlo. Abbiamo anche capito che tutto ciò che compriamo, da un’auto a una cena al ristorante, a un vestito, non lo paghiamo con i nostri soldi ma con il nostro tempo. Quando noi lavoriamo non facciamo altro che scambiare il nostro tempo per denaro, e quello, a differenza dei soldi, prima o poi finisce. È la cosa più preziosa che abbiamo, e dobbiamo usarlo al meglio. Più tempo dedichiamo a dover lavorare, più consumiamo le nostre vite. Per questo vogliamo puntare in alto, guadagnare di più e con quei soldi riscattare il nostro tempo”.

Carla rimase a riflettere qualche istante.

“Sono d’accordo”, esclamò.

“Troppo spesso ci sentiamo domandare perché investiamo in nuove attività, o perché non smettiamo di impegnarci”, continuò.

“Non comprendono che quello che facciamo è cercare di riscattare il nostro tempo per impiegarlo diversamente!” esclamò con veemenza.

“Esattamente Carla. Pensaci: noi oggi siamo liberi di scegliere se lavorare o meno, non dobbiamo farlo per necessità”, continuai io.

“Tanti mentono quando dicono: io voglio andare a lavorare, lavorare mi piace. È una frase vera solo quando lo fai davvero per scelta, e non perché sei costretto per pagare mutuo e bollette”, feci una pausa.

“La differenza tra Devo e Voglio è un passaggio fondamentale” aggiunsi.

“Devo significa schiavitù, Voglio significa Libertà”.

Dopo quella chiacchierata, Carla fu con me. Eravamo convinti che nella vita le nostre figlie avrebbero potuto diventare e ottenere tutto quello che desideravano. Quando gliene parlavo, però, le ragazze non sembravano altrettanto convinte.

“Ok papà, però ci sono dei limiti”, mi disse un giorno Nancy.

“Dimmene uno”, la sfidai.

“Conosco un ragazzo, un mio amico, che vorrebbe diventare un pilota di Formula Uno. Ma la sua famiglia non è benestante e non può permettersi di sostenerlo in questa sua passione. Potrà mai aspirare a diventarlo?”, mi domandò.

“Certo” le risposi.

“E come dovrebbe fare? Sentiamo…” mi incalzò lei.

“Innanzitutto, potrebbe cercare un autodromo, trasferirsi lì vicino e chiedere di poter lavorare lì, in un ruolo qualsiasi, anche come lavapiatti nel ristorante interno, o nelle vicinanze”, le risposi.

“Li saprà lavare i piatti no?” sorrisi.

“Ok e poi?” mi chiese interessata.

“Nel giro di qualche mese, mostrandosi volenteroso e diligente, potrebbe facilmente ottenere un posto da cameriere”, proseguii.

“A questo punto, girando tra i tavoli, comincerebbe a scambiare quattro chiacchiere con piloti e meccanici. Dopo qualche tempo, potrebbe chiedere a uno dei meccanici di tenerlo presente per un lavoretto nei box. Anche solo come addetto alle pulizie”, le spiegai.

“Una volta nei box entrerebbe in un contesto unico, comincerebbe a respirare l’odore delle benzine speciali, delle gomme, a sentir parlare di motori, di assetto, di traiettorie, di cambi d’olio, di strategie”, continuai.

“La sera, dopo il lavoro, potrebbe leggere libri a tema e nei weekend, dopo aver risparmiato e messo da parte un gruzzoletto, frequentare un corso di guida sicura, e poi uno di guida veloce, etc.”.

Nancy mi interruppe con un gesto della mano: “Ho capito papà. È quello che tu e mamma state facendo con noi, vero? Ci state programmando per diventare delle imprenditrici, come voi”.

Mi limitai a sorridere e annuire, sperando in una sua reazione positiva.

“Ok” disse solo.

E conoscendola, lo lessi come un grazie.

Il tempo mi ha dato ragione ed oggi le mie ragazze sono affermate professioniste e imprenditrici di successo, questo è possibile grazie anche alla “Programmazione Contestuale”.
E tu hai mai pensato di programmare te stesso per raggiungere i tuoi obiettivi?
Scopri come trasformare la tua vita nel mio libro “Da dipendente a Imprenditore” o i piccoli segreti raccolti nei miei articoli.

Capo o Leader?

Schema grafico con le differenze fra capo e leader

Ogni azienda, a prescindere dalla sua dimensione, ha al suo interno un Capo, anche se in realtà quello di cui ogni team professionale necessita, per raggiungere gli obiettivi prefissati in modo sereno, è un Leader.

Il Capo è una persona dalla mentalità logica che tende a gestire l’azienda e il personale in maniera fredda, razionale e non empatica, mentre il Leader, tende a motivare e ispirare ed è molto empatico verso i suoi collaboratori.

Lavorare a un progetto con il supporto di un team è molto vantaggioso rispetto a un lavoro individuale. Poiché un insieme di menti creative uniche e diverse tra loro, può portare alla realizzazione di progetti speciali, eccellenti, di successo.
Eppure, non è un’impresa semplice.

 

CAPO O LEADER?
Quali sono le differenze tra capo e leader? “Il leader guida, il capo conduce” sosteneva Theodore Roosevelt.  Per me è la sintesi perfetta!

Come imprenditore di successo sento spesso colpevolizzare i propri subordinati per non aver raggiunto quel traguardo, per non aver portato a termine un progetto, per aver fallito. Eppure anche un gruppo formato dalle menti più eccelse, se guidate male, può non avere successo.

 

ESSERE LEADER, UNA CAPACITÀ INNATA
Alcune persone hanno un’innata capacità di leadership: se messe alla prova, si scoprono leader carismatici e riescono a guidare i collaboratori verso l’obiettivo comune. Altri dotati di meno carisma impartiscono ordini, instaurano un rapporto piramidale, posizionandosi al vertice e, nonostante l’impegno profuso non ottengono successo.
Per essere un buon Leader la comunicazione è importantissima. Il modo con cui ci si approccia alle altre persone e ai propri collaboratori è fondamentale per la buona riuscita delle relazioni professionali, nonché di successi e risultati a lungo termine.
Guidare un gruppo di lavoro non è certo impresa facile. Ognuno di noi ha il proprio carattere e le proprie abilità. Le persone non sono tutte uguali e proprio per questo ragionano in maniera diversa. Eppure, da un certo punto di vista ciò è anche positivo, in quanto è proprio dal brainstorming di menti differenti che nascono le idee più geniali ed innovative.

 

MA QUALI SONO LE DIFFERENZE FRA CAPO E LEADER?
Un Capo dirige senza freni, non ascolta gli altri del team e non comunica. Crea istintivamente un clima di tensione pensando di far performare meglio il team e ottenendo invece il risultato opposto. Il Capo prende decisioni senza condividerle col team, non cerca confronti ma da ordini.

Un Leader gioca in prima linea, dice “noi” e mai “io”, coinvolge il team, mette a proprio agio le persone e crea un clima di lavoro sereno e funzionale. Un Leader domanda, chiede l’approvazione, ascolta i punti di vista e, insieme ai collaboratori, arriva al risultato.
Soltanto un Leader empatico è in grado di delegare con successo creando e fornendo ai propri collaboratori gli strumenti più adatti per raggiungere gli obiettivi.

 

COSA FA LA DIFFERENZA? LA MOTIVAZIONE
Le persone che compongono una squadra, nello sport come in ambito professionale, necessitano di un elemento fondamentale per produrre risultati vincenti: essere motivate.
La motivazione è alla base di qualsiasi grande impresa poiché crederci fino in fondo e metterci passione in quello che si fa, costituiscono quell’elemento imprescindibile e quel giusto mix che porta al successo.

L’importanza dell’Obiettivo

Uomo in barca con binocolo: L'importanza di un obiettivo e come raggiungerlo

Nel 2006 feci un colloquio ad un ragazzo che si era candidato per lavorare in uno dei miei Mercatini. Alla fatidica domanda “Come ti vedi tra 10 anni?”, il ragazzo rispose “Mi vedo al suo posto, quello di direttore generale”.
Quella risposta così diretta e determinata mi diede la certezza che avevo di fronte la persona che stavo cercando.
Lo volli subito in squadra e per farlo inserire lo feci cominciare come semplice commesso, ma ben presto lo passai al ruolo di valutatore.

UNA SCELTA GIUSTA
La mia scelta si rivelò nel tempo sempre più giusta, in quanto il ragazzo svolgeva egregiamente il suo compito, andando a fare le valutazioni a casa dei clienti con i mezzi pubblici o direttamente a piedi, dato che non aveva un’auto propria.
Il nuovo dipendente aveva sete di sapere e la sua fonte spesso ero io. Se non avevo tempo e potevo fermarmi solo qualche minuto al Mercatino, sapevo che avrei dovuto evitarlo o mi avrebbe trascinato nel piccolo ufficio per farmi uno dei suoi interrogatori. Quando mi chiedeva soltanto qualche informazione tecnica sul lavoro riuscivo a sbrigarmela in fretta, quando gli argomenti diventavano più ampi e concettuali era difficile uscire da quella porta prima di un’ora. Anche perché in fondo quelle chiacchierate con questo brillante ragazzo mi piacevano. Da tempo avevo capito che non tutti erano desiderosi di ascoltare i miei consigli.
“Se non ti dai una scadenza, un sogno rimarrà sempre tale”.
“Ok, quindi la prima cosa che devo fare è stabilire dove voglio arrivare ed entro quando voglio arrivarci” riassunse lui.
“No, in realtà la prima cosa da fare è capire da dove parti, chi sei, qual è la tua situazione iniziale”, lo corressi.
“Giusto”, aggiunse attento.
“Immaginatelo come un viaggio. Sai dove ti trovi, ipotizziamo a Roma. Se non sai qual è la tua meta continuerai a lamentarti del fatto che Roma non ti piace, ma resterai comunque lì”, iniziai a dire.
“Che poi è quello che fa la maggior parte della gente: lamentarsi della propria vita ma non fare assolutamente nulla per cambiarla”, precisai.
“Qualcuno, per fortuna, invece sa cosa vuole, sa dove vuole andare, per esempio a Milano. E questo è già un bel passo avanti, certo. Peccato che molti, una volta scelta la meta, per una serie di motivi non riescano a raggiungerla. Alcuni, i perfezionisti, prima di partire aspettano che venga costruita un’autostrada senza curve e perfettamente in piano, che la temperatura sia ottimale, etc. L’obiettivo è evitare di correre qualsiasi rischio, ma la conseguenza è che passeranno la loro vita ad aspettare le condizioni perfette, che probabilmente non partiranno mai. E così rimarranno per sempre dove sono”.

Continua …
Tratto dal libro “Da dipendente a Imprenditore“ di Feliciano di Giovambattista, se vuoi saperne di più vai qui.

I Quadranti del Cashflow

Schema in quattro quadranti ognuno con una lettera D A T I

In questi anni di intenso lavoro ho sempre affiancato la formazione alla carriera per scoprire presto che è semplicemente impossibile smettere di imparare.

La curiosità che da bambino mi spingeva alle imprese più improbabili mi ha sempre accompagnato anche nella scelta delle letture e degli autori che, in qualche modo, hanno contribuito pian piano a cambiare la mia vita.

Ero poco più di un ragazzo quando un giorno, in visita a un vecchio amico, notai nella sua libreria un libro che mi incuriosì subito: I Quadranti del Cashflow, di Robert Kiyosaki.

Vista la mia curiosità e sapendo delle mie peripezie e dei miei primi successi, il mio amico mi consigliò vivamente di leggerlo e me lo regalò. Quel libro cambiò la mia vita.

A tratti sembrava che Kiyosaki, nei Quadranti del Cashflow, parlasse proprio a me e non ringraziai mai abbastanza il mio amico per avermelo fatto leggere.

I QUADRANTI DEL CASHFLOW: MOLTO PIÙ DI UNO SCHEMA

Il Cashflow è un concetto straordinariamente ampio che nella sua rappresentazione reale o astratta ha così tanti campi di applicazione che sarebbe impossibile valutarli tutti.

Robert Kiyosaki nel suo libro evidenzia un particolare interessante e cioè che molto spesso la mancanza dei soldi non deriva tanto da una cattiva attitudine alla gestione finanziaria, quanto piuttosto da un’errata educazione che viene tramandata di generazione in generazione. Nel libro I Quadranti del Cashflow, che consiglio vivamente a tutti coloro che vogliono cambiare la propria vita, Kiyosaki non espone un meccanismo economico finanziario bensì sintetizza sorprendentemente l’essenza della natura umana.

L’inadeguatezza nella gestione delle proprie finanze viene messa in relazione non tanto con la scarsa conoscenza dei meccanismi finanziari, quanto piuttosto con una predisposizione naturale verso il timore e la paura che predominano sulla logica, non consentendo ad ognuno di noi un approccio lucido alla logica finanziaria.

I Quadranti del Cashflow sono in effetti delle chiavi di lettura con le quali è possibile interpretare l’imprinting che abbiamo ricevuto fin dalla nascita e l’atteggiamento che abbiamo relativamente alla sicurezza nonché sul rapporto che abbiamo nei confronti del denaro e sulla nostra psicologia economico-finanziaria.

COSA SONO I QUADRANTI DEL CASHFLOW?

Nei Quadranti del Cashflow Kiyosaki divide le persone che lavorano in quattro grandi categorie: i Dipendenti, cioè quelli che guadagnano lavorando per un’azienda; i Lavoratori Autonomi, quindi chi lavora in proprio; i Titolari d’Impresa, cioè chi possiede un’azienda, e infine gli Investitori che guadagnano grazie ai loro investimenti.

I Dipendenti sono coloro che eseguono il lavoro operativo, cioè tutti coloro che scambiano il proprio tempo e le loro competenze per denaro: la società ne ha bisogno, sono fondamentali. I lavoratori autonomi solitamente sono liberi professionisti o persone che lavorano nella loro azienda. Hanno un tenore di vita migliore rispetto ai dipendenti ma è anche vero che devono sostenere più spese e hanno più tasse da pagare. Purtroppo per quanto possano guadagnare hanno il limite del tempo. Considerato che l’attività che svolgono è dipendente dalla loro persona e dal loro tempo, essendo quest’ultimo una risorsa limitata, non potranno mai ambire a guadagnare più di una determinata cifra.

Kiyosaki mette questi due gruppi nei quadranti di sinistra del cosiddetto Cashflow, in pratica il flusso di cassa. È l’area in cui c’è uno stretto legame tra tempo e denaro. Nei due quadranti di destra invece ci sono le categorie che potenzialmente non hanno limiti di arricchimento. Ci sono i Titolari d’Impresa, cioè gli imprenditori che non hanno mansioni operative nella loro attività e quindi possono usare il loro tempo per fare strategia e controllo. Sono quelli che, delegando il lavoro pratico, hanno un reddito che si genera anche senza bisogno della loro presenza costante.

Nell’ultimo quadrante troviamo gli Investitori. L’autore chiama questo quadrante “Il parco giochi dei ricchi”, perché qui c’è chi non lavora più per i soldi, dato che sono i soldi a lavorare per lui. Soldi che generano altri soldi in piena autonomia. L’aspetto in comune dei quadranti di destra è la creazione di attività e rendite per i quadranti di sinistra. Uno schema apparentemente semplice che spiega in modo sorprendentemente chiaro come la società e l’ambiente in cui viviamo possono condizionare la visione di noi stessi, delle nostre possibilità e degli obiettivi che possiamo raggiungere.

I QUADRANTI DEL CASHFLOW: UN PERCORSO DI CRESCITA

La libertà finanziaria è un sogno che molti non riescono a raggiungere a causa dell’errata educazione finanziaria ricevuta spesso dalla famiglia, dalla scuola, dalla religione, insomma dal contesto sociale nel quale siamo vissuti. Eppure è possibile modificare e programmare noi stessi per raggiungere determinati obiettivi. Nel mio libro “Da dipendente a imprenditore” dedico un capitolo alla programmazione contestuale e a come, sulla base di una teoria che ho sviluppato e maturato nel tempo, sia possibile programmare sé stessi o gli altri al raggiungimento del successo. Con la determinazione, l’esperienza, i migliori strumenti di gestione e controllo e imparando a delegare correttamente è possibile raggiungere i propri obiettivi.

Se ognuno di noi dovesse percorrere ogni singolo quadrante raggiungerebbe in modo più semplice e soddisfacente un sogno che, a causa dell’educazione errata di cui abbiamo parlato precedentemente, non risulta per niente semplice: la libertà economica.

Come recita il passaggio del libro di Kiyosaki che ha cambiato la mia vita:

“Ricorda sempre quello che ti eri proposto di fare, e il viaggio sarà facile. Comincia a preoccuparti e le tue paure ti divoreranno l’anima. La passione costruisce imperi. La paura, no!”

FELICIANO LORENZO DI GIOVAMBATTISTA

Feliciano Lorenzo Di Giovambattista è attualmente Direttore Generale della Felcar Holding, la holding di famiglia, che conta ben tredici società partecipate, diversificate tra loro e circa 12 milioni di volume d’affari. Oggi si dedica alla pianificazione e alla strategia ed è costantemente alla ricerca di nuovi business da sviluppare.

Scopri il suo nuovo libro “Da dipendente a imprenditore”: un libro dove l’esperienza personale dell’autore si intreccia con preziosi insegnamenti su strategia d’impresa, leadership, crescita personale e intelligenza finanziaria.

 

Cos’è un Obiettivo?

Frecce che colpiscono il bersaglio

La domanda “Cos’è un obiettivo?” è soltanto apparentemente semplice e la complessità della risposta ne è la conferma.

“Per ottenere qualsiasi cosa nella vita è fondamentale sapere con precisione, oltre a ciò che si vuole, anche entro quando lo si vuole e, soprattutto, perché lo si vuole.”

La maggior parte delle persone che conosco è scontenta e non fa che lamentarsi in continuazione della propria situazione. Ma quando chiedo loro cosa vogliono veramente, qual è il loro obiettivo, non sanno quasi mai cosa rispondere. E dire che molti di loro hanno vite che altri definirebbero pienamente soddisfacenti, con un lavoro ben pagato e una bella famiglia. Eppure, sono insoddisfatti. Come mai? La risposta è brutalmente semplice: non hanno ciò che vogliono perché non sanno cosa desiderano veramente.

COS’È UN OBIETTIVO?

Ciò che accomuna molte persone che non hanno successo nella vita è la mancanza di un obiettivo. Ma anche chi sa cosa vuole spesso non riesce comunque a ottenerlo perché non ha stabilito una data precisa entro cui vuole raggiungere la sua meta, trasformando il suo desiderio, il suo sogno, in un obiettivo vero e proprio.

Se non mettiamo una data di scadenza accanto al nostro sogno rischiamo che rimanga tale per sempre. Per ottenere qualsiasi cosa, nella vita, è fondamentale sapere con precisione, oltre a ciò che si vuole, entro quando lo si vuole e, soprattutto, perché lo si vuole. È solo quando abbiamo davanti agli occhi una cosa, un quando e un perché che otteniamo anche la giusta motivazione e la determinazione per poterlo raggiungere.

COME DEFINIRE UN OBIETTIVO?

Trasformare un sogno in un obiettivo non è affatto facile: bisogna lavorare molto su sé stessi, andare a fondo, scavare dentro di noi. E una volta che abbiamo trovato ciò che cerchiamo, dobbiamo tirar fuori anche il coraggio necessario per passare all’azione e trovare gli strumenti giusti per monitorare il lavoro fatto.

Come liberarsi delle sovrastrutture, degli schemi mentali, delle cosiddette ancore – che spesso ci hanno imposto gli altri – per scovare i nostri desideri più reconditi?

Motivare sé stessi attraverso un concetto astratto perde di efficacia: io vorrei spiegarlo con un esempio pratico, attraverso un dialogo tratto dal mio libro “Da dipendente a imprenditore”.

Qualche anno fa mia figlia Watiuska era alla ricerca di un nuovo obiettivo professionale da raggiungere. Oggi è un’imprenditrice affermata ma ai tempi non sapeva ancora cosa fare della sua vita.

Papà che posso fare?” mi ha chiesto un giorno.
Stavo leggendo un libro sul divano e lei mi si era parata davanti a braccia incrociate.
Stai ancora studiando” le ho risposto.
Non è il momento giusto per stressarti troppo. Prova a visualizzare i tuoi obiettivi: individuali, mettili per iscritto, stampali e tieniteli sempre a portata di vista. Potrebbe aiutarti non solo a capire cosa vuoi fare, ma anche a non perdere mai di vista l’obiettivo finale quando incontrerai eventuali difficoltà” le ho consigliato io.
Sì ok ma come faccio a visualizzarli?” mi ha chiesto lei, poco convinta.
Va bene Watiuska, facciamo così. Siediti qui” le ho proposto indicando il posto accanto a me sul divano.
Lei ha obbedito, ma con poco entusiasmo.
Ora chiudi gli occhi” le ho detto.
Papà ti prego…” ha protestato lei.
Non scherzo! E non è un esercizio che ho inventato io! Se fossi venuta anche tu all’ultimo corso di Tony Robbins sapresti di cosa sto parlando…” ho esclamato.
Ok, ok” ha acconsentito lei, chiudendo gli occhi.
Bravissima. Mettiti comoda, appoggia la testa e rilassa ogni muscolo del tuo corpo. Ora immagina te stessa a 40 anni, come se fossi la protagonista di un film. Devi guardarti dall’esterno, come fossi una spettatrice. Ti vedi?” le ho chiesto.
Sì, più o meno” ha risposto lei, incerta.
Allora guarda meglio. Devi vederti a fuoco. Come sei vestita? Come porti i capelli? Controlla l’ora: che orologio porti al polso? Stai tornando verso casa: che auto guidi? Ora prova a entrare in casa: chi ti accoglie? Hai dei figli? Quanti sono? Quanti anni hanno? Di che colore hanno i capelli? E gli occhi? Com’è casa tua? Magari è una villa con un parco? Che stile hai scelto per i mobili? Che profumo senti nell’aria?”.
Mi sono interrotto e l’ho osservata con curiosità.
Non parlava più, il che poteva essere solo un buon segno. Vedevo i suoi occhi muoversi sotto le palpebre chiuse: stava osservando curiosa il suo futuro.
Cerca di essere ambiziosa in questa visualizzazione, sentiti realizzata perché hai raggiunto ciò che hai sempre desiderato – le ho suggerito -. Sì, quella è proprio la casa che hai sempre desiderato. E l’auto che hai appena parcheggiato ti rappresenta in tutto per tutto, così come la borsa che hai in spalla, o le scarpe che hai ai piedi. Abbassa lo sguardo, le vedi? Dai un’occhiata fuori dalla finestra… Quello che vedi là in fondo non è il Golden Retriever che hai sempre sognato?” le ho domandato.
Accarezzalo, goditi i tuoi traguardi, assapora la tua vita futura. Io vado di là, torno tra poco, ma tu continua a visualizzare questo tuo splendido futuro in cui ce l’hai fatta” le ho detto.

Dopo circa 15 minuti, quando sono tornato, mia figlia era ancora concentrata sulla sua visualizzazione e un bel sorriso di soddisfazione le era affiorato sulle labbra. A quel punto, a voce un po’ più alta, l’ho invitata a riaprire gli occhi appena fosse stata pronta. Dopo qualche istante li ha riaperti e mi ha guardato con aria appagata e con un velato sorriso sulla bocca.
Ecco fatto!” le ho annunciato soddisfatto.
Fatto cosa?” mi ha chiesto, ancora un po’ intontita dal rilassamento.
Anche se non te ne rendi conto, la visualizzazione che hai appena fatto ora è ben ancorata nel tuo subconscio – le ho spiegato – E se l’hai fatta bene, da oggi cercherai inconsciamente di inseguire quegli obiettivi. Un po’ come un missile a ricerca di calore, hai presente? Quelli con un sistema di guida che rilevano passivamente le emissioni di calore dei bersagli e continuano a inseguirli finché non li raggiungono. Ecco. Anche mentre farai altro, lavorerai, studierai, cucinerai, farai quattro chiacchiere con gli amici, senza rendertene conto continuerai ad inseguire il tuo obiettivo”, le ho detto.
In effetti è stato veramente bello e interessante” ha ammesso lei.

Quel giorno ho aiutato Watiuska a capire cos’è un obiettivo e come raggiungerlo. Da allora sono passati diversi anni, ma di recente mia figlia mi ha confessato che durante quell’esercizio si era immaginata in una situazione che rispecchia quasi esattamente la sua condizione attuale. Oggi lei, come le sue sorelle, è una giovane imprenditrice, ma soprattutto una persona felice, perché è riuscita a raggiungere già alcuni degli obiettivi che si è preposta nella vita.

È proprio questo che accomuna le persone di successo: sanno cos’è un obiettivo, quando e come intendono ottenerlo, e stabiliscono una serie di obiettivi che permetteranno loro di avviarsi con passo sicuro e costante in direzione dei loro desideri.

FELICIANO LORENZO DI GIOVAMBATTISTA

Feliciano Lorenzo Di Giovambattista è attualmente Direttore Generale della Felcar Holding, la holding di famiglia, che conta ben tredici società partecipate, diversificate tra loro e circa 12 milioni di volume d’affari. Oggi si dedica alla pianificazione e alla strategia ed è costantemente alla ricerca di nuovi business da sviluppare.

Scopri il suo nuovo libro “Da dipendente a imprenditore”: un libro dove l’esperienza personale dell’autore si intreccia con preziosi insegnamenti su strategia d’impresa, leadership, crescita personale e intelligenza finanziaria.

 

Il Cruscotto dell’Imprenditore

Uomo che guarda una vetrata dove vengono proiettate icone di un pannello di controllo

“Delegare non significa lasciare che siano altri a occuparsi delle tue incombenze da imprenditore: avere sempre una visione d’insieme sull’andamento delle tue attività è, e rimarrà sempre, un tuo dovere.”

Mi piace definirmi un “Imprenditore Seriale”.

Ho sempre creduto che differenziare non sia solo il modo più sicuro di fare business, ma anche il più divertente: poche cose nella vita riescono a coinvolgermi ed emozionarmi come individuare, aprire e far decollare una nuova attività, magari in un settore che non avevo mai affrontato prima.

Quando le cose cominciano ad andar bene sistematizzo, avvalendomi del potere, e dovere, più prezioso a disposizione di un imprenditore, l’arte di delegare, cercando di rendermi il più possibile “inutile” all’interno della mia azienda.

Negli anni ho imparato che delegare dà la possibilità di avere il tempo e la testa da dedicare alle attività di crescita e di sviluppo dei propri business, nonché alla propria formazione personale, ma che per farlo è indispensabile munirsi di strumenti che permettano di tenere sotto controllo tutte le proprie attività.

Fino a qualche anno, e a qualche attività fa, ero sempre sommerso da report, grafici, fogli di calcolo e documenti che i direttori delle mie aziende compilavano scrupolosamente e mi consegnavano alla fine del mese. Farmi un’idea precisa dell’andamento di ogni attività era diventato per me molto difficile, quasi impossibile. Nonostante tutti quei report, avevo molta difficoltà a tirare le somme sull’andamento e sui reali guadagni che ogni attività produceva, se non a fine anno, quando potevo finalmente tirare le somme, sottraendo il totale delle spese sostenute dal totale delle entrate complessive. Ma se mi rendevo conto che un guadagno effettivo non c’era stato, oltre a essere oramai troppo tardi, era anche molto difficile individuarne il vero motivo.

Conoscere i reali guadagni di ogni attività solo a fine anno, infine, mi lasciava nel limbo per mesi: quanto avrei potuto prelevare dalle casse per il mio compenso senza rischiare di non riuscire a coprire le spese? Quanto potevo investire su una nuova risorsa, attrezzatura, prodotto o servizio senza compromettere l’equilibrio finanziario dei mesi successivi? Quanti utili avrei ottenuto a fine anno? Non lo sapevo, non potevo saperlo.

COME NASCE IL “CRUSCOTTO DELL’IMPRENDITORE”?

Nel 2010 ho deciso che le cose non potevano continuare così, che era ora di cambiare, di crescere. Desideravo, pretendevo, di avere un quadro il più possibile preciso, un controllo di gestione e soprattutto di liquidità di ogni mia attività. Dovevo solo trovare un sistema di controllo efficace che mi permettesse di inquadrare con chiarezza il mio obiettivo (in particolare l’utile di fine anno) in modo preventivo, per poi tracciare una mappa da seguire per raggiungerlo.

Un sistema per stabilire in qualsiasi momento, con una certa oggettività e precisione, quale sarebbe stato il guadagno e la liquidità delle mie attività nei mesi successivi. Un sistema che, mettendo già in preventivo le uscite di tutto l’anno, mi permettesse di rispondere positivamente e senza preoccupazioni a tutte le esigenze di denaro, previste e impreviste. Quel sistema l’ho trovato, il suo nome è “Il Cruscotto dell’imprenditore”

Perché in fondo il Cruscotto dell’imprenditore è un po’ come il cruscotto della mia auto, uno strumento che ho sempre sott’occhio e che mi aiuta a tenere tutto sotto controllo attraverso il contachilometri, il contagiri, il manometro per la temperatura dell’acqua, il livello del carburante ecc.

Grazie al Cruscotto dell’imprenditore posso monitorare costantemente che tutto funzioni bene e, se si verifica qualche anomalia, me ne accorgo in tempo e ho la possibilità di valutarla (ed eventualmente di sistemarla) prima che l’auto si danneggi.

Il mio Cruscotto aziendale è in realtà un sistema più semplice di quanto potrebbe sembrare. Così semplice che quando l’ho ideato pensavo di aver scoperto l’acqua calda. Eppure in più di una circostanza l’ho mostrato e condiviso con altri imprenditori che, dimostrando un certo stupore ed entusiasmo, hanno trovato questo mio metodo estremamente interessante ed efficace.

COME FUNZIONA IL CRUSCOTTO DELL’IMPRENDITORE?

Per idearlo ho preso spunto dai Barattoli di T. Harv Eker e dalla Ruota della vita di Anthony Robbins: non ha le fattezze della classica tabella suddivisa in Entrate e Uscite, ma quelle di una ruota divisa in spicchi.

A ogni spicchio è dedicato un macro capitolo di spesa: utile, in primis, seguito da materie prime, risorse umane, marketing, strutture, utenze, materiali di consumo, trasporti, consulenze, banche e tasse.

Ogni macro capitolo è suddiviso in micro capitoli. Ad esempio, nel capitolo “strutture” troviamo: affitto, condominio, TARI, IMU, arredi, manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, ecc.

La prima cosa che faccio, a inizio anno, è stabilire quanto penso oggettivamente di poter incassare nei 12 mesi successivi. Se lo sto facendo per una nuova attività naturalmente il calcolo è più approssimativo, ma se si tratta di un’attività con uno storico è tutto più semplice.

Se, per ipotesi, decido di voler guadagnare il 10% delle entrate, a questo punto so che tutti gli altri capitoli di spesa dovranno rappresentare al massimo, il 90% delle uscite. Questo non significa però che dovrò tagliare le spese, ma solo che devo ottimizzarle. Il Cruscotto dell’imprenditore serve proprio a ripartire a priori la suddivisione dei capitoli di spesa, e a rispettarli nel corso del tempo. Ecco perché chiedo a ogni mio responsabile di funzione un report serale con i dati giornalieri, che successivamente vengono inviati all’ufficio amministrativo ed inseriti in un gestionale (o anche in un semplice foglio Excel) divisi per vari capitoli di spesa.

Questo genera delle percentuali che io, insieme al responsabile amministrativo, monitoriamo quotidianamente per poi entrare nel dettaglio ogni tre mesi al fine di verificare se stiamo seguendo la tabella di marcia che mi sono prefissato a inizio anno. Se qualcosa esce al di fuori della percentuale stabilita ci allertiamo, chiedendoci se la variazione è giustificata da una scelta consapevole o se qualcosa sta andando storto e va raddrizzato. In quest’ultimo caso, dopo aver individuato la causa, segniamo in agenda una seconda verifica per il mese successivo al fine di capire se il bug sia stato risolto o meno.

Grazie al mio Cruscotto dell’imprenditore, per esempio, l’anno scorso ci siamo accorti che in una delle mie attività a Roma era stata superata la percentuale relativa ai materiali di consumo.

Analizzando nel dettaglio tutte le abitudini dei miei collaboratori e i costi dei fornitori, ci siamo resi conto che il fornitore delle shopper ci vendeva dei pacchi con 300 sacchetti allo stesso prezzo dei 500 concordati. I ragazzi non se ne accorgevano perché prendevano una shopper alla volta dalla scatola man mano che i clienti le richiedevano e, senza saperlo, continuavamo a pagare 200 shopper in più a ogni rifornimento.

Oggi creo un Cruscotto per ogni mia nuova attività, e con questa consapevolezza in testa e più tempo libero a disposizione, mi godo solo il bello della mia vita da imprenditore seriale. È indispensabile per un imprenditore definire correttamente i propri obiettivi, sistematizzare le proprie aziende e delegare in modo consapevole.

Delegare non significa lasciare che siano altri a occuparsi delle proprie incombenze da imprenditore: avere sempre una visione d’insieme sull’andamento delle attività è, e rimarrà sempre un nostro dovere.

FELICIANO LORENZO DI GIOVAMBATTISTA

Feliciano Lorenzo Di Giovambattista è attualmente Direttore Generale della Felcar Holding, la holding di famiglia, che conta ben tredici società partecipate, diversificate tra loro e circa 12 milioni di volume d’affari. Oggi si dedica alla pianificazione e alla strategia ed è costantemente alla ricerca di nuovi business da sviluppare.

Scopri il suo nuovo libro “Da dipendente a imprenditore”: un libro dove l’esperienza personale dell’autore si intreccia con preziosi insegnamenti su strategia d’impresa, leadership, crescita personale e intelligenza finanziaria.

 

L’Arte di Delegare

Due mani che si scambiano il testimone color oro

Delegare è un’arte che richiede pratica, pazienza e soprattutto capacità organizzative. Purtroppo, durante le mie attività ho visto che non è facile per molti imprenditori o manager riuscire ad utilizzare in modo proficuo e soprattutto efficace l’arte della delega.

La mia esperienza imprenditoriale è cominciata quando avevo 23 anni, nessuna competenza specifica, pochi soldi in tasca ma tanti sogni nel cassetto.

È stata una crescita lenta ma continua, caratterizzata dalla curiosità, dalla propensione al rischio, dall’ambizione e soprattutto dalla determinazione. Determinazione grazie alla quale sono partito da un piccolo negozio di cartolibreria ed articoli da regalo, e che mi ha portato oggi ad avere una Holding che controlla ben 8 società operative, diversificate sia sotto il profilo settoriale che geografico: la Felcar Holding.

Non ho mai lavorato operativamente all’interno delle mie attività ma ho sempre cercato persone già competenti o da formare nello specifico ruolo richiesto dal tipo di attività avviata: commessi, cassiere, direttori, ecc.

Se riuscire a diventare maestri nell’arte del delegare è importante fare le scelte giuste quando si delega è fondamentale.

Ecco ciò che ho imparato negli anni.

DELEGARE ALLA PERSONALITÀ GIUSTA

Occupandomi di ricerca, selezione e motivazione di tutto il personale, ho commesso più volte l’errore di assumere persone con caratteristiche simili, quasi sempre da leader, indipendentemente dal ruolo che sarebbero andati a ricoprire.

Tutte le volte, fin da subito mi sono accorto che qualcosa non funzionava: nonostante tutti avessero chiaro il loro ruolo, ad ogni circostanza non perdevano occasione per discutere, cercando di imporre le proprie opinioni, a volte anche in modo animato.

Documentandomi attraverso delle letture specifiche ho imparato che in fase di selezione del personale non bisogna lasciarsi influenzare da simpatie o impressioni personali, ma valutare il candidato in modo distaccato e in base alle caratteristiche che il ruolo richiede.

L’arte del delegare è una scienza precisa e se si ha bisogno di un commesso non si potrà cercarlo con le stesse caratteristiche caratteriali di un direttore e viceversa.

Sembrerebbe scontato a dirsi ma molti imprenditori che si occupano personalmente di selezione del personale non tengono conto di questo aspetto selezionando in personale a loro immagine e somiglianza.

L’ARTE DEL DELEGARE: IL TEAM IDEALE

Una volta scelto il personale adeguato al ruolo ed al tipo di attività va inserito, formato e contestualizzato al team già esistente.

Ho avuto una delle mie più grandi soddisfazioni diversi anni fa, quando ho scoperto che uno dei team che avevo creato era così coeso, motivato e attento agli interessi dell’azienda che decideva in autonomia se il nuovo arrivato aveva le caratteristiche giuste per far parte della squadra.

Era, ed è ancora oggi, un team che non tollera colleghi primi del giusto spirito di squadra e di competizione, quelli che non capiscono o condividono la filosofia aziendale. I componenti del team non vogliono rischiare di essere rallentati nel perseguimento dei propri obiettivi settimanali, mensili, annuale nonché di quelli, non meno importanti, relativi alla soddisfazione e alla crescita personale.

Questo si ottiene valorizzando e motivando le persone sotto il profilo economico: ho sempre perseguito la strategia basata sulla meritocrazia e sulla condivisione delle informazioni. I miei collaboratori sono costantemente aggiornati sia sugli incassi dell’azienda che su quelli dei competitor. Sanno che l’incasso è come una bella torta ed ognuno ha diritto alla propria fetta: più la torta diventa grande, più grandi saranno le singole fette.

Spesso sottovalutata da molti imprenditori è invece altrettanto importante la motivazione sotto il profilo personale. A tal proposito è necessario comunicare efficacemente fin da subito la filosofia aziendale, per far sì che ogni dipendente diventi si senta parte integrante dell’azienda. Allo stesso tempo è fondamentale che chiunque dimostri di averne le capacità, abbia la possibilità di crescere senza alcun limite all’interno dell’azienda.

L’arte della delega è piena di ostacoli e tutto ciò è realizzabile solo se alla base c’è un’attenta valutazione durante la fase di selezione del personale: da sempre ci siamo concentrati su giovani che, anche se con caratteristiche diverse, sono accomunati dal desiderio di fare bene il proprio lavoro, raggiungere gli obiettivi e tornare a casa la sera stanchi ma soddisfatti.

IMPARA A CHIEDERE AIUTO

Scegliere di non lavorare operativamente all’interno delle mie aziende concentrandomi su risorse umane, marketing, strutture ed amministrazione, mi ha permesso di occuparmi anche di strategia e soprattutto di sviluppo. Ma solo fino a un certo punto.

Quando, con il passare degli anni, le aziende sono via via aumentate ed occuparmi dei ruoli di cui sopra mi impegnava così tanto da non riuscire a trovare tempo per la strategia e lo sviluppo, mi sono rivolto ad un consulente aziendale.

Con il suo aiuto professionale, oltre a perfezionare le strutture operative già esistenti nelle singole attività, abbiamo rivisto ed implementato la struttura aziendale inserendo i responsabili di funzione, ognuno specializzato in un diverso ruolo:

  1. Risorse umane e strutture
  2. Marketing
  3. Operatività e trasporti
  4. Amministrazione

Inizialmente per me non è stato facile delegare i suddetti ruoli, in quanto a volte non condividevo il modus operandi dei responsabili che avevo scelto. Ma con il passare del tempo, attraverso il confronto, la condivisione degli obiettivi e le lunghe riunioni mensili, sono diventati talmente bravi da risultare indispensabili.

L’arte della delega è uno strumento importante che consente a tutta l’organizzazione di diventare più forte e motivata.

Contestualmente Io sono riuscito a riappropriarmi del tempo necessario per attuare un efficace controllo di gestione, pianificare strategie e valutare piani di sviluppo. In più ho trovato più tempo per me stesso e per la mia famiglia e questo ha un valore inestimabile.

D’altronde come diceva Henry Ford:

“Perché dovrei riempire la mia mente con informazioni di carattere generale quando attorno a me o uomini capaci di dirmi tutto ciò che mi serve?”.

FELICIANO LORENZO DI GIOVAMBATTISTA

Feliciano Lorenzo Di Giovambattista è attualmente Direttore Generale della Felcar Holding, la holding di famiglia, che conta ben tredici società partecipate, diversificate tra loro e circa 12 milioni di volume d’affari. Oggi si dedica alla pianificazione e alla strategia ed è costantemente alla ricerca di nuovi business da sviluppare.

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