Programmazione Contestuale

L'impegno di un uomo che scala una montagna: programmare sé stessi

Ho dedicato molto tempo alla formazione, ritengo che sia una parte fondamentale della crescita personale e professionale di ognuno di noi.
Studiando e frequentando corsi di formazione sulla psicologia economica finanziaria, leggendo libri che parlavano di libertà finanziaria e confrontandomi con più persone sull’argomento ho avuto la possibilità di elaborare strumenti, tecniche e teorie efficaci ed efficienti da applicare in ogni settore della mia vita, compreso quello personale e familiare.

Ho chiamato questa mia teoria Programmazione Contestuale e un giorno la proposi a mia moglie non senza una sua certa sorpresa.

“Non ho capito: che vuoi fare con le bambine?” mi chiese lei confusa.

“Programmarle” le risposi sorridendo.

“In che senso?” mi chiese, ancora più stranita.

“Pensaci bene” le spiegai, facendola accomodare sul divano.

“La maggior parte delle persone nascono, crescono e vivono in un contesto ben preciso che influenza le loro scelte e, di conseguenza, il loro futuro” continuai.

“Le primissime esperienze si fanno in famiglia, poi arriva la scuola e in seguito la società, a volte anche la religione”.

“In Occidente, per esempio, ci viene insegnato che bisogna studiare, impegnarsi, diplomarsi, eventualmente laurearsi, cercare un lavoro sicuro, comprare un’auto, mettere su famiglia, fare un mutuo per acquistare una casa e dei beni, e dopo aver lavorato per 40 anni, andare in pensione e infine morire, ma non prima di aver insegnato ai propri figli che è solo e soltanto così che bisognerebbe vivere”, le dissi sempre più convinto.

“Alla nascita siamo tutti bicchieri vuoti pronti da riempire”, continuai entusiasta.

“Bicchieri la cui forma e composizione può variare a seconda di chi incontriamo nel corso della nostra vita. Fin da piccoli, tutti quelli che ci circondano contribuiscono a riempirci un po’: i genitori, i nonni, la religione, i compagni di scuola, gli insegnanti, gli amici, i colleghi, i vicini di casa, nonché le situazioni e le esperienze che viviamo”. “Tutto entra nel bicchiere, soprattutto fino all’età di 6 anni, quando cominciamo a mettere qualche filtro e a scegliere in chi o in cosa credere, a chi affidarci. Ma in generale, tutto e tutti hanno un’influenza su di noi”.

Carla non sembrava molto convinta.

“Non so Feliciano… tu non mi sembri esattamente ‘programmato’ da altri”, mi interruppe Carla pensierosa.

“Anzi, mi pare che tu sia sempre andato contro la tua famiglia, gli amici e chiunque ti dicesse cosa fare” aggiunse.

“In realtà tutti noi siamo stati e siamo continuamente programmati, anche se in alcuni casi, su persone come me, alcune influenze funzionano al contrario” le risposi.

“Oggi, sono quello che sono proprio grazie al contesto in cui ho vissuto da piccolo. È stato proprio perché ho convissuto con gli scorpioni, in una casa senza bagno, che ho fatto di tutto per non offrire lo stesso destino ai miei figli”.

“Forse hai ragione, ma non ti dà fastidio pensare che sei quello che sei, solo perché sei nato a Massa da una famiglia di contadini nel nostro secolo? Non ti disturba l’idea di essere stato inconsapevolmente programmato da altri?”.

“È proprio qui il bello” le risposi sorridendo.

“Perché con il tempo ho capito che, se fossi riuscito ad accettare la sconcertante verità di essere stato programmato, sarei stato in grado di sfruttare la cosa a mio vantaggio”, feci una pausa.

“Così come sono stato programmato… Posso anche riprogrammarmi, no? Ma nella direzione che voglio io, verso ciò che mi rende veramente felice. Per riprogrammarci, però, dobbiamo avere l’umiltà di ammettere che non possiamo farcela da soli”, continuai.

“Il contesto in cui viviamo continua a essere fondamentale. Per questo la prima cosa da fare per cambiare vita è cambiare il contesto in cui si vive. Per me, avere avuto accanto una donna come te… Ecco…”, esitai.

“È stato fondamentale” aggiunsi con un pizzico di imbarazzo.

“Così come lo è stato l’incontro con Antonio”, mi affrettai ad aggiungere prima di arrossire.

“Io e Antonio abbiamo deliberatamente scelto che nella vita volevamo diventare ricchi. Una scelta di cui in Italia sembra quasi ci si debba vergognare”, feci una pausa.

“Noi abbiamo avuto il coraggio di ammettere di voler guadagnare più di quanto potessimo spendere, e solo così siamo riusciti a ottenerlo. Abbiamo anche capito che tutto ciò che compriamo, da un’auto a una cena al ristorante, a un vestito, non lo paghiamo con i nostri soldi ma con il nostro tempo. Quando noi lavoriamo non facciamo altro che scambiare il nostro tempo per denaro, e quello, a differenza dei soldi, prima o poi finisce. È la cosa più preziosa che abbiamo, e dobbiamo usarlo al meglio. Più tempo dedichiamo a dover lavorare, più consumiamo le nostre vite. Per questo vogliamo puntare in alto, guadagnare di più e con quei soldi riscattare il nostro tempo”.

Carla rimase a riflettere qualche istante.

“Sono d’accordo”, esclamò.

“Troppo spesso ci sentiamo domandare perché investiamo in nuove attività, o perché non smettiamo di impegnarci”, continuò.

“Non comprendono che quello che facciamo è cercare di riscattare il nostro tempo per impiegarlo diversamente!” esclamò con veemenza.

“Esattamente Carla. Pensaci: noi oggi siamo liberi di scegliere se lavorare o meno, non dobbiamo farlo per necessità”, continuai io.

“Tanti mentono quando dicono: io voglio andare a lavorare, lavorare mi piace. È una frase vera solo quando lo fai davvero per scelta, e non perché sei costretto per pagare mutuo e bollette”, feci una pausa.

“La differenza tra Devo e Voglio è un passaggio fondamentale” aggiunsi.

“Devo significa schiavitù, Voglio significa Libertà”.

Dopo quella chiacchierata, Carla fu con me. Eravamo convinti che nella vita le nostre figlie avrebbero potuto diventare e ottenere tutto quello che desideravano. Quando gliene parlavo, però, le ragazze non sembravano altrettanto convinte.

“Ok papà, però ci sono dei limiti”, mi disse un giorno Nancy.

“Dimmene uno”, la sfidai.

“Conosco un ragazzo, un mio amico, che vorrebbe diventare un pilota di Formula Uno. Ma la sua famiglia non è benestante e non può permettersi di sostenerlo in questa sua passione. Potrà mai aspirare a diventarlo?”, mi domandò.

“Certo” le risposi.

“E come dovrebbe fare? Sentiamo…” mi incalzò lei.

“Innanzitutto, potrebbe cercare un autodromo, trasferirsi lì vicino e chiedere di poter lavorare lì, in un ruolo qualsiasi, anche come lavapiatti nel ristorante interno, o nelle vicinanze”, le risposi.

“Li saprà lavare i piatti no?” sorrisi.

“Ok e poi?” mi chiese interessata.

“Nel giro di qualche mese, mostrandosi volenteroso e diligente, potrebbe facilmente ottenere un posto da cameriere”, proseguii.

“A questo punto, girando tra i tavoli, comincerebbe a scambiare quattro chiacchiere con piloti e meccanici. Dopo qualche tempo, potrebbe chiedere a uno dei meccanici di tenerlo presente per un lavoretto nei box. Anche solo come addetto alle pulizie”, le spiegai.

“Una volta nei box entrerebbe in un contesto unico, comincerebbe a respirare l’odore delle benzine speciali, delle gomme, a sentir parlare di motori, di assetto, di traiettorie, di cambi d’olio, di strategie”, continuai.

“La sera, dopo il lavoro, potrebbe leggere libri a tema e nei weekend, dopo aver risparmiato e messo da parte un gruzzoletto, frequentare un corso di guida sicura, e poi uno di guida veloce, etc.”.

Nancy mi interruppe con un gesto della mano: “Ho capito papà. È quello che tu e mamma state facendo con noi, vero? Ci state programmando per diventare delle imprenditrici, come voi”.

Mi limitai a sorridere e annuire, sperando in una sua reazione positiva.

“Ok” disse solo.

E conoscendola, lo lessi come un grazie.

Il tempo mi ha dato ragione ed oggi le mie ragazze sono affermate professioniste e imprenditrici di successo, questo è possibile grazie anche alla “Programmazione Contestuale”.
E tu hai mai pensato di programmare te stesso per raggiungere i tuoi obiettivi?
Scopri come trasformare la tua vita nel mio libro “Da dipendente a Imprenditore” o i piccoli segreti raccolti nei miei articoli.

Capo o Leader?

Schema grafico con le differenze fra capo e leader

Ogni azienda, a prescindere dalla sua dimensione, ha al suo interno un Capo, anche se in realtà quello di cui ogni team professionale necessita, per raggiungere gli obiettivi prefissati in modo sereno, è un Leader.

Il Capo è una persona dalla mentalità logica che tende a gestire l’azienda e il personale in maniera fredda, razionale e non empatica, mentre il Leader, tende a motivare e ispirare ed è molto empatico verso i suoi collaboratori.

Lavorare a un progetto con il supporto di un team è molto vantaggioso rispetto a un lavoro individuale. Poiché un insieme di menti creative uniche e diverse tra loro, può portare alla realizzazione di progetti speciali, eccellenti, di successo.
Eppure, non è un’impresa semplice.

 

CAPO O LEADER?
Quali sono le differenze tra capo e leader? “Il leader guida, il capo conduce” sosteneva Theodore Roosevelt.  Per me è la sintesi perfetta!

Come imprenditore di successo sento spesso colpevolizzare i propri subordinati per non aver raggiunto quel traguardo, per non aver portato a termine un progetto, per aver fallito. Eppure anche un gruppo formato dalle menti più eccelse, se guidate male, può non avere successo.

 

ESSERE LEADER, UNA CAPACITÀ INNATA
Alcune persone hanno un’innata capacità di leadership: se messe alla prova, si scoprono leader carismatici e riescono a guidare i collaboratori verso l’obiettivo comune. Altri dotati di meno carisma impartiscono ordini, instaurano un rapporto piramidale, posizionandosi al vertice e, nonostante l’impegno profuso non ottengono successo.
Per essere un buon Leader la comunicazione è importantissima. Il modo con cui ci si approccia alle altre persone e ai propri collaboratori è fondamentale per la buona riuscita delle relazioni professionali, nonché di successi e risultati a lungo termine.
Guidare un gruppo di lavoro non è certo impresa facile. Ognuno di noi ha il proprio carattere e le proprie abilità. Le persone non sono tutte uguali e proprio per questo ragionano in maniera diversa. Eppure, da un certo punto di vista ciò è anche positivo, in quanto è proprio dal brainstorming di menti differenti che nascono le idee più geniali ed innovative.

 

MA QUALI SONO LE DIFFERENZE FRA CAPO E LEADER?
Un Capo dirige senza freni, non ascolta gli altri del team e non comunica. Crea istintivamente un clima di tensione pensando di far performare meglio il team e ottenendo invece il risultato opposto. Il Capo prende decisioni senza condividerle col team, non cerca confronti ma da ordini.

Un Leader gioca in prima linea, dice “noi” e mai “io”, coinvolge il team, mette a proprio agio le persone e crea un clima di lavoro sereno e funzionale. Un Leader domanda, chiede l’approvazione, ascolta i punti di vista e, insieme ai collaboratori, arriva al risultato.
Soltanto un Leader empatico è in grado di delegare con successo creando e fornendo ai propri collaboratori gli strumenti più adatti per raggiungere gli obiettivi.

 

COSA FA LA DIFFERENZA? LA MOTIVAZIONE
Le persone che compongono una squadra, nello sport come in ambito professionale, necessitano di un elemento fondamentale per produrre risultati vincenti: essere motivate.
La motivazione è alla base di qualsiasi grande impresa poiché crederci fino in fondo e metterci passione in quello che si fa, costituiscono quell’elemento imprescindibile e quel giusto mix che porta al successo.

L’importanza dell’Obiettivo

Uomo in barca con binocolo: L'importanza di un obiettivo e come raggiungerlo

Nel 2006 feci un colloquio ad un ragazzo che si era candidato per lavorare in uno dei miei Mercatini. Alla fatidica domanda “Come ti vedi tra 10 anni?”, il ragazzo rispose “Mi vedo al suo posto, quello di direttore generale”.
Quella risposta così diretta e determinata mi diede la certezza che avevo di fronte la persona che stavo cercando.
Lo volli subito in squadra e per farlo inserire lo feci cominciare come semplice commesso, ma ben presto lo passai al ruolo di valutatore.

UNA SCELTA GIUSTA
La mia scelta si rivelò nel tempo sempre più giusta, in quanto il ragazzo svolgeva egregiamente il suo compito, andando a fare le valutazioni a casa dei clienti con i mezzi pubblici o direttamente a piedi, dato che non aveva un’auto propria.
Il nuovo dipendente aveva sete di sapere e la sua fonte spesso ero io. Se non avevo tempo e potevo fermarmi solo qualche minuto al Mercatino, sapevo che avrei dovuto evitarlo o mi avrebbe trascinato nel piccolo ufficio per farmi uno dei suoi interrogatori. Quando mi chiedeva soltanto qualche informazione tecnica sul lavoro riuscivo a sbrigarmela in fretta, quando gli argomenti diventavano più ampi e concettuali era difficile uscire da quella porta prima di un’ora. Anche perché in fondo quelle chiacchierate con questo brillante ragazzo mi piacevano. Da tempo avevo capito che non tutti erano desiderosi di ascoltare i miei consigli.
“Se non ti dai una scadenza, un sogno rimarrà sempre tale”.
“Ok, quindi la prima cosa che devo fare è stabilire dove voglio arrivare ed entro quando voglio arrivarci” riassunse lui.
“No, in realtà la prima cosa da fare è capire da dove parti, chi sei, qual è la tua situazione iniziale”, lo corressi.
“Giusto”, aggiunse attento.
“Immaginatelo come un viaggio. Sai dove ti trovi, ipotizziamo a Roma. Se non sai qual è la tua meta continuerai a lamentarti del fatto che Roma non ti piace, ma resterai comunque lì”, iniziai a dire.
“Che poi è quello che fa la maggior parte della gente: lamentarsi della propria vita ma non fare assolutamente nulla per cambiarla”, precisai.
“Qualcuno, per fortuna, invece sa cosa vuole, sa dove vuole andare, per esempio a Milano. E questo è già un bel passo avanti, certo. Peccato che molti, una volta scelta la meta, per una serie di motivi non riescano a raggiungerla. Alcuni, i perfezionisti, prima di partire aspettano che venga costruita un’autostrada senza curve e perfettamente in piano, che la temperatura sia ottimale, etc. L’obiettivo è evitare di correre qualsiasi rischio, ma la conseguenza è che passeranno la loro vita ad aspettare le condizioni perfette, che probabilmente non partiranno mai. E così rimarranno per sempre dove sono”.

Continua …
Tratto dal libro “Da dipendente a Imprenditore“ di Feliciano di Giovambattista, se vuoi saperne di più vai qui.